Ieri sera conversavo con mia figlia su alcuni temi di psicologia e pedagogia, cercando il suo conforto più esperto per risolvere un problema che riguarda il membro a quattro zampe della nostra famigliola. Cercavamo di capire perché un cane manifesta un’ansia di tipo piuttosto umano ma naturalmente espressa in modo assai canino, con tutti le seccature del caso.
E’ stato naturale parlare di rinforzo positivo e negativo, ossia il condizionamento operante, che per com’è noto va benissimo per educare gli animali. Anche se nel nostro caso occorrerà molto più tempo e pazienza del normale. Chissà, magari leggendo qualcuno avrà da consigliarmi qualche altro buon rimedio etico.
Ma al di là di questo la cosa mi ha subito turbato, perché mi riporta ai grattacapi della modernità con questo genere di condizionamento che è anche una regola in ambito umano, sia a livello educativo che didattico. Se mi leggete sapete quanto io sia contrario a qualunque metodica che segua la logica del premio, se ne fai una giusta, e della punizione, se ne fai una sbagliata. La trovo contorta, controproducente e contro natura (e altri “contro” a vostro gradimento), quando riferita agli esseri umani.
Vorrei fornire qualche altro riferimento a compendio degli altri contributi passati. Anche se non potrà mai essere una conclusione definitiva sull’argomento.
Abbiamo abbracciato acriticamente questa metodologia del comportamentismo, maggiormente osservata e promossa da Skinner, lasciandole contaminare la didattica e perfino la valutazione del sapere degli studenti, basandola sulle famose “prestazioni” (azioni e risultati), piuttosto che sull’indagine individuale del sapere acquisito (cognitivismo moderno - Bandura, Kintsch - predisposizione biologica).
In genere, tutto ciò che riguarda il comportamentismo (cfr. Watson, Pavlow, e lo stesso Skinner), fatto salvo quello “imitativo”, non dovrebbe andare a collidere con la psicologia dell’apprendimento. Invece è ampiamente successo, giungendo a ricondurre ogni aspetto dell’apprendimento alle influenze ambientali. Ma non dal punto di vista ovvio di azione-reazione, e dunque dall’ambiente sociale che influenza indubbiamente il comportamento umano, ma dall’adottare sistemi di condizionamento (classico e operante) per conseguire il medesimo risultato ai fini didattici ed educativi.
In altre parole, grazie agli studi sul comportamentismo si dovrebbero aiutare bambini e studenti (ma anche adulti) nell’individuare e gestire gli effetti unicamente negativi del condizionamento. Invece si usa come arma didattica per educare!
La crisi delle vocazioni, i talenti seppelliti, lo stimolo a performare indipendentemente dalle attitudini, gli studenti che denunciano di non farcela più (lo facevamo anche noi, ma all’epoca non c’erano gli echi mediatici odierni), l’avversione per la scuola e la cultura in generale, le condotte familiari e sociali egoiste, indolenti e distruttive, sono tutti effetti di questo genere di condizionamento.
Non siamo animali. Ma sapendo che solo un comportamento di un certo tipo ci farà ottenere il biscottino (considerazione, soldi, posizione, potere, etc.), allora faremo qualunque cosa pur di ottenere quella ricompensa. E’ logico. Però, a differenza degli animali, che non hanno alcun processo cognitivo evoluto di autocoscienza (cfr: Freud, Jung, Adler, Rogers, et. al.), agire e reagire in funzione di una ricompensa, o del timore di una punizione, anestetizza, e financo distrugge, i processi cognitivi stessi facendo prevalere la parte istintiva (l’Es freudiano), saturando le proprie frustrazioni (le ombre jungiane) ed enfatizzando l’innato complesso d’inferiorità con il quale veniamo al mondo (teoria adleriana).
Questo è talmente ovvio che perfino i padri del comportamentismo, con Skinner in testa - che peraltro fu anche contestato da Chomsky - se ne resero presto conto e non vollero mai promuovere tale sistema - che è un’ovvietà meramente osservazionale - come ideale per l’educazione, ma casomai collaterale ai modelli di apprendimento naturali dell’essere umano (che non è un animale!). Questi poi presero pian piano vita nelle teorie di Jean Piaget, per finire oggi nel complesso dei contributi di Bandura, Kintsch e il nostro Vittorio Guidano, fondatore del cognitivismo post-razionalista.
Noi, però, siamo ancora fossilizzati e fissati col condizionamento. Alla fine è più comodo, veloce e davvero efficace, e peraltro nemmeno i genitori saprebbero che altri pesci pigliare. Pazienza se poi riducono i cervelli in pappina!
Dovremmo smetterla e cambiare al più presto. Non possiamo permetterci di continuare a forgiare automi che fanno anche comodo al sistema in generale; ci servono persone che inizino a ragionare con un cervello nitido ed efficiente, in quella radice umana che imita il buon esempio, ama la cultura e persegue l’evoluzione, in maniera naturale e senza aver bisogno di ricompense o punizioni. Queste lasciamole ai malati di mente (purtroppo, ma in extremis) e agli animali.
Base foto: Philippe Mercier (1689-1760), dipinto “Scuola per ragazzi”, olio su tela
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