Le guerre convenzionali sarebbero ormai crimini anacronistici. Non potrebbero esistere eppure si fanno. Ma non è che non possano esistere perché l’uomo ha definitivamente sposato la sua natura buona. No, per quello ci vuole ancora tempo. Non possono esistere perché ormai tutti possiedono, chi più chi meno, armi di distruzione di massa.
Vi ricordate cosa successe all’impero giapponese sul finire della seconda guerra mondiale? In un battito di ciglia l’America del “sogno” spazzò via 250 mila vite innocenti. Mostrò al mondo la potenza della bomba atomica, sulla quale nessun esercito di rambo, con armi d’ultima generazione, avrebbe potuto averla vinta. I civili che ci andarono di mezzo ne furono semplice prova. Carne da macello utile affinché i giapponesi, già quasi convinti per altre ragioni, alzassero immediatamente bandiera bianca. E così avvenne.
L’America avrebbe potuto reclamare il dominio del mondo, e in un certo senso lo fece, ma in maniera molto più misurata e sottile. Perché da lì a poco la bomba atomica la costruirono tutti, sempre più performante e sofisticata. E il mondo, in un certo senso, trovi equilibrio nel terrore dell’olocausto nucleare.
Nessuno avrebbe mai pensato di poter muovere guerra a qualcun altro, perché egli stesso, o un suo grande alleato, avrebbe avuto la possibilità di usare qualche altro ordigno atomico. E se lo usa lui, e poi lo usa quell’altro, sarebbe semplicemente la fine della civiltà. Anche per chi ne uscisse vincente; sempre che di vittorie si possa parlare.
Pareva una cosa ovvia. Invece…
Invece si trovò ugualmente modo di continuare a fare le guerre, e accenderne anche di nuove. Basta minacciarsi, di tanto in tanto, con l’atomica (la sgancio… la sgancio…) e nel frattempo mandare i soldati a morire e massacrare innocenti.
I soldati!
Se loro - e anche noi - dicessimo: «E va beh, ci siamo largamente rotti le scatole, sapete? Usate l’atomica e facciamola finita!».
Ma nessuno ha tanto coraggio. Il soldato dice: «Moriremo, ma perché proprio io? Morirà quell’altro, o al massimo un compagno». Il civile fa altrettanto. E la guerra prospera; senza risparmiare chi un momento prima pensava di salvarsi per magia o grazia divina. Guerra, terrorismo, qualunque cosa sia, vanno avanti, mentre l’arma di distruzione di massa rimane ben chiusa nei bunker spettrali e silenziosi per incutere il terrorre necessario.
Che stupido gioco!
Poi c’è l’orgoglio dei capi. Nessun capo di Stato può pensare di muovere la guerra dei soldati e poi tornare sui suoi passi. Ma un suo successore, invece, potrebbe. Non è la nazione, il popolo, che muove guerra, ma i suoi capi temporanei, e dunque altri capi possono avvicendarsi e anche disconoscere le ragioni dei predecessori. Possono ribaltare tutto.
Chi ha mosso guerra perde la faccia. Il nuovo, no! Questo è lo strano codice. Al nuovo tornano tra le mani tutte le pedine che il vecchio guerrafondaio aveva ormai mosso. E se si fanno le mosse, non si possono chiedere le pedine indietro senza “perdere la faccia”.
Allora chi muove guerra? Il popolo o i suoi capi temporanei?
Come vedete non ha senso. Non potrebbe più esistere la guerra dei soldati convenzionali o terroristi che siano, né, della guerra, è titolare il popolo. Il titolare è fantoccio delle sue stesse decisioni, talmente labili e infondate che chi si avvicenda può disconoscerle subito.
Cosa c’è dietro quell’art. 11 della nostra illuminata Costituzione nel ripudiare la guerra, se non le considerazioni che abbiano sin qui fatto! Semplicemente la presa di coscienza che la guerra non è espressione del popolo, non può essere decisa da chi rappresenta il popolo, in nome del popolo stesso, non può risolvere nulla mandando a morire persone, e non può che essere mezzo di distruzione definitiva della civiltà, se anziché mandare persone a morire si usassero invece le armi di distruzione di massa.
Piange il cuore se oggi pensassimo che Gorbaciov non avrebbe mai attaccato l’Ucraina; e se oggi uno come lui dovesse sostituire Putin, tutto cesserebbe. Non perché fosse stato un santo, ma non era un guerrafondaio! E piange il cuore se in tante altre parti del mondo questo stesso ragionamento risulterebbe valido. Come valido risulterebbe anche in Israele, oggi, se al governo non ci fosse stato Netanyahu ma avessero avuto uno come Rabin, o anche Peres.
Non è il popolo che accende i conflitti, ma chi lo guida.
Quando i conflitti montano, il popolo viene massacrato e chi lo guida presenzia in TV. Mentre si fa scanna di innocenti, non di rado capita di vederli in bella livrea mentre si stringono la mano nei salotti dorati della diplomazia disfunzionale. E lì, ipocritamente, si ripromettono di trovare un accordo. Intanto il sangue continuerà a scorrere, se il nuovo non si avvicenda o qualche altro capo più autorevole, nell’olimpo delle potenze mondiali, non dicesse “basta!”.
Comunque a volte è anche difficile che qualcuno arrivi subito a comportarsi diversamente, o qualche altro dicesse quel “basta!”. I capi sanno mettere in moto un’efficace macchina mediatica basata su una dialettica spiazzante, facendo leva su sentimenti antichi e paure moderne.
Nel caso più ricorrente, i capi del governo israeliano rievocano continuamente la parola “antisemitismo”, per liquidare qualunque critica nei loro confronti, specie nel contesto degli odierni bombardamenti che stanno spianando Gaza. Oggi si parlerebbe di oltre 10.000 vittime, di cui circa il 40% bambini. L’atisemitismo che denuncia l’attuale governo d’Israele, quando gli si fa notare la catastrofe umanitaria che stanno producendo, è cosa molto grave. Il termine infatti indica l’irrazionale odio fobico verso gli ebrei, Questo, come ben noto, ha avuto il suo epilogo nella Shoah, vale a dire l’olocausto nazista che sterminò milioni di ebrei.
Oggi è quasi insensato parlare di tale genere d’odio nei confronti degli ebrei, specie nel mondo occidentale di cui Israele fa parte a pieno titolo. L'odio che fu epilogo nell’olocausto va ricordato per rimanere sempre vigili sulla capacità umana di essere crudeli, non necessariamente verso un popolo specifico. Tale crudeltà, infatti, deve riguardare ogni popolo e persona sottoposta irragionevolmente all’odio. E infatti, gli ebrei hanno sofferto come altri popoli soffrivano con loro, e nessuno se ne accorgeva, o come soffrono altri popoli oggi, e nessuno se ne accorge. Si pensi all’odierno antiarabismo o all’islamofobia, dove si tende a fare di tutta l’erba un fascio e accomunare al medesimo fanatismo estremista quasi mezzo miliardo di abitanti di questo pianeta. Ma sappiamo, invece, che perfino chi vive nei regimi più fondamentalisti si ribella e muore nel proprio paese perché non vuole essere affatto un arabo fanatico. Ma un arabo!
Se queste evidenze fossero contestabili - e mi aspetterei argomentazioni apprezzabili - allora dovremmo dire che gli ebrei sono il popolo che hanno sofferto ieri, e soffrono oggi, più di ogni altro. Subito dopo dovremmo anche individuarne meglio le ragioni, non solo fermandoci a quell’odio fobico irrazionale di un tempo, e da rapportare ai giorni nostri (con un Israele pienamente integrato nel mondo occidentale), ma a tal punto chiedendoci anche se ci siano altri argomenti razionali circa tale esclusiva attrattiva persecutoria rispetto a ogni altro popolo martoriato sulla terra.
Se non dessimo valore a queste riflessioni, allora accade che l'antisemitismo si sta usando come sinonimo di vittimismo. Ed ecco, allora, che ogni qualvolta si criticano gli ebrei, o si assiste a fenomeni d'odio (condannabili, ovviamente) nei loro confronti, monta questo vittimismo (soggettivo, o di convenienza) dichiarato come antisemitiso (oggettivo). E se così fosse, nessuna critica e sentimento di disgusto si potrà mai legittimamente rappresentare verso di loro (rectius: “loro” come “capi”, ossia governo, e non come popolo), divenuti quasi "intoccabili" per le loro sacrosante e dolorosissime vicissitudini più antiche.
Il conflitto israelo-palestinese - che è anche quello insensato della guerra dei soldati che non dovrebbe mai più esistere - visto sotto questa luce è un conflitto come un altro. Non è superiore o inferiore ad altre questioni drammatiche che affliggono il mondo e i suoi popoli da secoli e millenni. L'antisemitismo o vittimismo, che dir si voglia, non è pretesto in grado di fermare le critiche ai “capi” (israeliani) che oggi muovono guerra commettendo palesi atrocità. Purtroppo, oltre le critiche esistono anche le reazioni di disgusto scomposte e censurabili che non hanno alcuna relazione specifica con gli ebrei, ma che sarebbero rivolte, con simboli e metodi magari diversi, a qualunque altro paese che oggi avesse commesso gli stessi crimini di guerra.
Perché la guerra è un crimine già ex se. Non può esistere una guerra corretta dove muoiono solo i soldati, se già nemmeno i soldati avrebbero oggi motivo di andare a morire in guerra. Non continui l’ipocrisia dei “capi”; tornino sui loro passi con la faccia dietro alla colomba della pace, come nel dipinto di Magritte. Questo sarebbe il modo più onorevole per “perdere” la faccia.
Base foto: dipinto “L’uomo con la bombetta”, René Magritte (1964, olio su tela) - Collezione privata
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