Perché critichiamo sempre il moderno sistema economico? Perché in effetti mostra continuamente i suoi numerosi punti deboli. Solo, però, se per debolezza vogliamo intendere quell’altra cosa che si reclama sempre: equità. Tutti vorrebbero un sistema economico equo.
L’altro ieri avevo riflettuto con voi sulla questione degli extraprofitti, e vorrei completare il discorso con un’ulteriore riflessione che mette in luce quelle “perle d’iniquità” che stanno alla base del malessere economico generale. O benessere per pochissimi, se suona meglio. E questa volta il governo c'entra solo marginalmente. Anzi, ci aiuta a capire.
Nella norma che dovrebbe tassare gli extraprofitti si vuol badare - giustamente - a non penalizzare quegli istituti bancari che hanno tempestivamente riconosciuto il maggior costo del denaro ai loro correntisti risparmiatori. Quindi da un lato la banca prende il maggior interesse da mutui e prestiti, ma dall’altro lo paga anche ai propri risparmiatori. Il delta tra le due cose fa comunque guadagnare alla banca dei bei soldi piovuti dal nulla. Ma questo oggi non ci interessa.
Il punto è che quel denaro creato dall’aumento dei tassi d’interesse finirebbe nelle sole tasche delle banche e in quelle dei risparmiatori. E c’è da essere contenti per entrambi, perché in una certa misura riusciranno a tamponare l’inflazione che sta massacrando noi tutti.
E gli altri?
Quelli che pagano mutui e prestiti difficilmente sono anche risparmiatori con un gruzzoletto in banca, tale da poter gioire di un tasso d’interesse maggiore e compensare l’eventuale maggiorazione sul mutuo. Per lo più non si hanno risparmi rilevanti, e una parte ben minore riceve al massimo alcuni spiccioli che forse andranno bene per una cena al McDonald’s. Forse.
Il grosso del risparmio è in mano a pochi cittadini. Ne abbiamo ragionato tante volte e proprio ultimamente ne parlavo in uno dei capitoli della mia monografia in corso sulle riforme. A questi cittadini molto più fortunati, un po’ come le banche, arriveranno quindi quei quattrini più sostanziosi come frutto dei loro ingenti depositi.
Non c’è nulla di sbagliato per come funziona il sistema finanziario odierno; ma se lo scopo è quello di aiutare i cittadini in crisi con prestiti e mutui che lievitano indisturbati e nessun adeguamento degli stipendi all’inflazione e alla svalutazione monetaria che corre velocissima, allora qualcosa di sbagliato si coglie. E’ qui che il sistema si mostra debole, inadeguato e naturalmente iniquo, arricchendo sempre i soliti noti e impoverendo il resto della ciurma.
Riequilibrare una congiuntura simile significa forzare il sistema, e questo non piace. Perché tassare gli extraprofitti, e magari imporre alle banche di fermarsi e non pagarli ai risparmiatori (follia che non farebbe mai quest’esecutivo, spintosi già molto oltre), significa togliere ai ricchi per dare ai poveri.
Certo, alla fine bisognerà vedere davvero come verranno impiegati questi (pochi) soldi che il governo dovrebbe incamerare, se verranno destinati ad arginare in minima parte l’inflazione aiutando le famiglie e coloro che hanno acceso i famigerati mutui a tasso variabile. Se lo farà, anche per questo poco, il governo avrà confermato una delle falle dello stesso sistema che difende a spada tratta.
Quindi c’è chi non merita quel denaro “extra”? O si tratta di uno slancio di solidarietà, timore nella tenuta sociale, elemosina? E’ praticamente una tassa patrimoniale (orrore!). Fino ad oggi il comportamento è stato quello che è stato, e non ci si può certo illudere da chi sta letteralmente affamando centinaia di migliaia di famiglie e riaccendendo la sopita lotta di classe, elevando lo stigma dell’essere povero a quello dell’esserlo colpevolmente sempre e comunque.
Ma al di là di tutto questo conta l’effetto; e la decisione del governo denuncia senza il minimo alone di dubbio che l’attuale sistema economico deve essere urgentemente ripensato. Nemmeno loro sono riusciti a nasconderlo più di tanto.
Visto però che parliamo di perle d’iniquità al plurale, aggiungiamo almeno un’altra falla.
In questi giorni si sarebbe anche aperta la caccia allo “scontrino pazzo”, quello dove i tagli del toast si fanno pagare 2 euro, e così un piattino in più; oppure il taglio di una torta a 20 euro, e l’acqua del rubinetto che varia dai 20 ai 70 centesimi il bicchiere. Insomma, un delirio di prezzi e servizi inventati che comunque c’è sempre stato. La novità è nei prezzi proiettati verso galassie sconosciute, per servizi fantasiosi che una volta servivano ad arrotondarsi lo scontrino, e facevano meno notizia.
Ora l’inflazione e gli aumenti incontrollati stanno massacrando tutti, per cui certi imprenditori non solo allargano il loro orizzonte fantasioso ma ne dilatano in maniera improba anche i prezzi. E così sperano di superare la china trattando i clienti come una specie di bancomat.
I clienti siamo noi. Con in mezzo tutta quella gente che non ha modo di fare la cresta su qualcosa per superare la crisi. Sullo stipendio non si può di certo, se non lo aumentano; e ancor meno possono quelli che non lo hanno o che fanno parte dell’enorme circuito del nero. Sono ben lungi, insomma, dall’essere un bancomat per la filiera ricettiva.
Lo sanno i gestori?
Non è in forza dell’art. 41 della Costituzione che alla fine può scattare quel liberatorio: “L’iniziativa economica è libera”. Quindi vendo la fuffa che voglio ai prezzi che mi pare». Perché anche se fosse vero bisogna vedere se poi ci sono gli acquirenti. E si vede quanto siano ridotti male questi ultimi. Ma poi, è il neoliberismo di questo sistema economico che fa credere tutto lecito e possibile, e a ben vedere gli altri commi del citato art. 41 ci si rende conto che non è né lecito né possibile.
Le previsioni e i paletti che più volte richiamo attorno alla Costituzione sono fari che illuminano il percorso che doveva essere fatto, e che non è stato preso minimamente in considerazione. Così si finisce per credere in verità inesistenti, come la possibilità di venir fuori da una crisi aumentando a casaccio il proprio margine, e determinando anche un ulteriore distacco verso i consumatori meno abbienti. Quindi, in realtà, un calo del profitto.
E con quest’altra perla d'iniquità che dimostra la faciloneria libertaria con cui approcciano alcuni imprenditori chiuderei in “bruttezza” questo pezzo, che è già abbastanza lungo.
base foto: Engin Akyurt (sinistra) e Victoria Regen (destra), da Pixabay
Gli algoritmi di ricerca su internet, e quelli preferenziali dei social, non premiano cultura, pluralismo e contenuti utili e interessanti, ma fanno prevalere le banalità, le popolarità, l'intrattenimento, e la supremazia di informazioni mainstream promosse anche da incenti investimenti pubblicitari.
Questo progetto sarebbe invisibile senza costanti investimenti di autopromozione.
CONDIVIDENDO l'articolo e segnalando il sito e i profili social, contribuirai ancora meglio.