Guardavo un video di Andrea Scanzi (https://fb.watch/wCp8OxfY-K) su un tema che viene spesso alla ribalta quando si parla di censura, e fa capo alla critica di alcuni di non urtare sensibilità ed evitare la produzione di nuovi cattivi maestri. Il cosiddetto “politically correct”, insomma. Un modo di pensare che, se estremizzato, arriva a determinare l’abominio della “cancel culture”, ennesimo neologismo anglofono che spiega la tendenza a censurare la storia, le arti e la cultura del passato, o quella del presente che vi si ispira.
Condivido solo in parte il pensiero di Scanzi, credendo che la censura sia sempre una cosa sbagliata, e lo è perdipiù quando diventa quella cancel culture, pretendendo di oscurare tratti del passato della nostra umanità per non turbare le sensibilità di chi si lamenta di quel passato. Pensiamo a quello che è accaduto in alcune cittadine americane, dove addirittura sono state rimosse le statue di Cristoforo Colombo perché disturbavano le popolazioni autoctone, ricordando ai nativi i crimini della colonizzazione a seguito della scoperta dell’America.
Di queste cose ho parlato numerose volte nei miei articoli, dedicando alla questione ampie riflessioni che non saranno mai sufficienti ed esaustive. Una sorta di indice la trovate in un articolo di circa un anno fa: “Una censura incensurata”.
La critica o invocazione del politically correct prende le mosse soprattutto dal nostro presente, mettendo in discussione il modo contemporaneo di esprimersi, confrontarsi e interpretare arti e cultura odierne; il modo, insomma, in cui ci comportiamo in generale, che non riguarda più le questioni del passato.
Non parlerò di “woke”, perché introdurremmo troppe distorsioni a questioni che invece reputo semplici. All'uso/abuso del termine woke dedicherò attenzioni più mirate e specifiche in futuro.
Se, da un lato, non ha senso oscurare il passato - e come ho detto: ne ho più volte indicato le ragioni - dall’altro lato non me la sentirei di condannare senz’appello questo benedetto politically correct, e soprattutto nessuno dovrebbe sentirsela di associare la censura ad ogni riflessione che lo riguarda. Perché non è sempre censura! Io la chiamo temperanza, la quale ha radici filosofiche millenarie ed è un sinonimo calmierato (rectius: equilibrato) dell’odierno politicamente corretto.
E su questo punto che dobbiamo distinguere e riflettere.
Esprimersi al grande pubblico dicendo «Mi avete frantumato i coglioni!», può trovare giustificazione nell’eventuale momento di incontrollato spazientimento, anche se spazientirsi non sarebbe mai saggio. Ma siamo umani, imperfetti, ed esistono numerose sfumature che possono giustificare o condannare un’espressione così cruda, che quindi va sempre contestualizzata, pesata, e non per forza condannata come mera volgarità o tendenza gratuita ad essere scurrili od offensivi. Può invece esserlo, laddove s’invochi il mero diritto di esprimersi come pare, poiché questo diritto semplicemente non esiste.
Sta tutta qui la temperanza: auto moderarsi rispettando il prossimo e ciò che la migliore scienza suggerisce (e non confondiamola con la diplomazia, nei cui tratti si scorge spesso l’ipocrisia). Altrimenti dobbiamo girare le spalle e ignorare chi non ha intenzione di praticarla. E così facendo stiamo già “censurando” quel modo di essere/comunicare, com’è nostro diritto fare. E questo diritto, al contrario del precedente, esiste!
La temperanza è dinamica, va calibrata al periodo storico che vogliamo analizzare. Non è un'immagine statica e immutevole nel tempo, ma come tutte le cose naturali (e umane) muta e si adegua ai tempi. Dando per scontato che i tempi venturi siano sempre migliori dei trascorsi.
Può quindi succedere che la favola di “Biancaneve e i sette nani” venga criticata sotto un profilo pedagogico aggiornato che, in qualunque momento storico, abbia individuato dei difetti narrativi disorientanti per il bambino (questo fiaba, come tante altre, è stata rivista parecchie volte in passato, al fine di adattarsi sempre meglio alle esigenze del pubblico al quale era destinata: i bambini- si pensi che la storia originale dei Grimm è proprio improponibile per i bambini). Il revisionismo della comunicazione alla luce della migliore educazione non è mai un atteggiamento politically correct, men che meno censura, o peggio cancel culture, ma appunto: TEMPERANZA. Scusate se ora lo scrivo in maiuscolo.
Biancaneve è solo un esempio venuto alla ribalta nei mesi scorsi con le sue polemiche mediatiche e superficialità affini. Ma è utile a far emergere un altro aspetto importante della temperanza, che è la modulazione della cultura (in senso lato, e quindi anche espressivo) alla luce dello stato dell’arte della filosofia e della sua discendente: la scienza. La cultura non va cancellata - mai! - e nemmeno controllata, ma divulgata in modo responsabile affinché questa sia ricevuta ed elaborata dal pubblico a cui viene destinata. La responsabilità è ovviamente di chi sta comunicando o educando.
E così le parole, le frasi, le espressioni, la comunicazione in generale.
Per capire ancora meglio, potremmo pensare alle varie forme di comunicazione come al cibo. Se mangiassimo troppa cioccolata diventeremmo certamente obesi e comunque si metterebbe a rischio la salute. Quindi ci moderiamo temperando l’assunzione di questo cibo. Allo stesso modo, se usiamo una comunicazione senza freni, illimitata, libera da qualunque moderazione (secondo imprecisate ragioni di “libertà”), allora andremo inesorabilmente incontro all’offesa di qualcuno.
E’ solo una circostanza odierna. Domani può cambiare. Perché il domani è progresso, nuove riflessioni, nuovi modelli di pensiero che germogliano da tutto ciò che è l’esperienza dell’umanità nel suo costante cammino. Quindi anche nuova scienza. Qui potremmo già parlare di un altro filone riflessivo che fa capo al “Relativismo culturale etico e scientifico”, la cui buona pratica anticipa i tempi e ci porta ad assumere comportamenti corretti, ossia potenzialmente immuni dall’essere invalidati dalla filosofia futura, ma indubbiamente (e auspicabilmente) migliorabili.
Non esiste uno “stato dell’arte statico”. Si dice “stato dell’arte” perché rappresenta appunto il sapere che abbiamo acquisito sino a quel momento: a questo momento!
E allora che male c’è se fino a ieri era normale, divertente, esprimersi in un certo modo, “censurare” OGGI quel modo di esprimersi perché lo rileviamo come non più opportuno o perfino lesivo di intere categorie e fomentatore di sentimenti magari negativi? Senza ovviamente “cancellare” il passato, che serve anche a tener presente da dove veniamo, le cose buone che abbiamo fatto e gli errori da non ripetere.
La temperanza non conserva dogmi. La temperanza è progresso, ed è costantemente soggetta a critica. E’ peraltro talmente naturale come concetto, che ci ritroviamo a praticarlo in maniera istintiva quando si tratta di dover competere con la testardaggine di qualcuno a noi caro; in quel caso cerchiamo di adottare posture e linguaggio per poter scavalcare il muro di quella ostinazione o impuntamento e instaurare un dialogo produttivo.
Penso sia una bella riflessione natalizia, che potrebbe stimolare la voglia di comprensione e tolleranza, provando a rispettare di più il prossimo che non deve mai subire la nostra libertà, ma condividerla. Perché: “libertà è partecipazione”, come diceva il signor G.
Voglio ora chiudere con un pensiero molto critico di Giancarlo Selmi (temperata sul filo di lana). Una persona normalissima, come me e voi, che stimo e che in questo suo esempio fornisce probabilmente la misura estrema della critica, quando esse sborda leggermente dai gangheri. Senza mostrare tuttavia arroganza gratuita, denigrazione e disprezzo ingiustificati, ma assertivo biasimo per l’oggetto/persona della nostra critica, argomentata in maniera chiara e sintetica.
«Lei la comando con un joystick / Non mi piace quando parla troppo / Le tappo la bocca e me la f… Volano schiaffi da ogni parte (…) Sono Tony, non ti guardo nemmeno / Mi dici che sono un tipo violento/ Però vieni solo quando ti meno.»
Questa è una strofa di una delle canzoni di Tony Effe. E non è detto che sia la peggiore, anzi, ho letto e ascoltato pareri sulla "vena poetica" del tipo, che fanno supporre che ci sia di peggio, molto di peggio.
La domanda che ci dovremmo porre tutti, rispetto al successo di fenomeni come questo Tony Effe che, se fosse per me non avrebbe portato all'ascolto nessuno dei suoi inqualificabili testi, è come sia arrivato a essere ciò che è. Essere considerato un artista. Perché resto dell'opinione che l'arte sia bellezza pura e, nonostante quello che dice qualcuno, una banana appiccicata al muro con un nastro adesivo color argento, rimane una "immensa cagata".
Così quanto siano un immensa cagata i testi di questo cacofonico cantante. Rimango dell'opinione che l'arte debba essere il risultato di un talento e che, quindi, non si possa definire arte ciò che può fare chiunque. Perché, se fosse così, sarebbe arte anche orinare, cagare, bere, mangiare, dormire eccetera. Preservare il cervello dei bambini o degli adolescenti dal messaggio che diffondono le cagate che scrive questo signore, non è censura, ma un atto di difesa.
In un paese dove l'analfabetismo funzionale copre un terzo della popolazione; dove l'egoismo e l'individualismo ne coprono ancora di più; dove bullismi, mandrie, paranze, aggressività, femminicidi, violenze a familiari e bimbi, mancanza totale di gentilezza, di senso civico e di cultura imperano; dove un adolescente si sente autorizzato ad ammazzare di botte un suo coetaneo, magari in gruppo; un paese pieno di gente sempre più anaffettiva, di "artisti" come Tony Effe non ne abbiamo affatto bisogno.
E dovremmo chiederci tutti se le ragioni del suo successo e gli episodi di cronaca >> sempre più numerosi, non abbiano origine dalle stesse cose.
Giancarlo Selmi
(post FB)
Se amate leggere un pensiero identico ma più disteso nei toni vi indirizzo invece alla pubblicazione fatta qualche istante prima da Guendalina Middei, giovanissima insegnante e autrice di rara sensibilità e cultura (link al post FB).
A proposito di arte e mercificazione, posso suggerirvi anche un mio vecchio articolo: “L’immoralità dell’oro e del carbone”.
Con questo vi lascio augurandovi un felice Natale.
base foto: ”Allegoria della temperanza”, Luca Giordano (1682-85, olio su tela, collezione Denis Mahon, Londra)
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