Nulla esisterebbe se non si nutrisse di qualcos’altro. Il carburante è necessario per qualunque ciclo e processo fisico. Se trascurassimo un fatto del genere ci sfuggirebbero tutte le cause che spiegano la vita, il movimento e le forze della natura.
Il carburante dell’uomo è il cibo, che però non si limita a mantenerlo in vita ma aziona decine di processi fisiologici che gli consentono di muoversi nello spazio e pensare. Proprio il pensiero, per mezzo del cervello, è uno dei meccanismi più energivori del corpo umano, consumando circa il 20% dell’energia totale resa disponibile dal cibo.
Il pensiero rende coscienti di sé. Ma la coscienza rimane ancora un mistero.
Non è invece un mistero che la coscienza si alimenti attraverso la percezione e l’elaborazione dello spazio e delle cose attorno all’essere umano. Se nascessimo nel buio e silenzio più totali, collegati a un qualche macchinario impercettibile che ci alimenta in luogo del cibo, i nostri sensi non potrebbero percepire nulla e il cervello funzionerebbe solo per governare gli organi vitali. La coscienza non si potrebbe sviluppare, non avendo nulla di cui nutrirsi, e quindi pensare. Non saremmo nulla! Niente bontà, cattiveria, sensazioni, emozioni, nulla. Come non esistere, probabilmente.
Sarebbe un esperimento interessante. Ma per ovvi motivi etici non sarebbe il caso di condurlo, nemmeno sugli animali. Probabilmente ci svelerebbe anche ben poco, non avendo comunque nessuno strumento scientifico per poter sondare lo stato di coscienza.
Possiamo fare solo considerazioni induttive, escludendo che la coscienza di sé possa svilupparsi senza alcuna esperienza e stimolo esterno.
Se dunque la coscienza non si è potuta cibare della realtà esterna, come si può qualificare un individuo del genere?
Non può, evidentemente. Non ha un carattere e una propensione a nulla. Anche le sue inclinazioni genetiche si annullerebbero, non essendoci alcun oggetto/soggetto esterno che possa catalizzarle. E ciò significa che le pulsioni innate possono essere modulate, altrimenti assisteremmo a un individuo privo di coscienza che si agita a vuoto cercando di fare qualcosa che nemmeno lui sa. Spasmi più o meno compulsivi laddove è invece più logico e plausibile aspettarsi i movimenti più tipici di un neonato (scatti, smorfie, tremori), che probabilmente perdurererebbero per tutto il corso di quella vita vegetativa di completo isolamento buio e silenzioso.
Analizzare le cose partendo da premesse razionali e presupposti scientifici ci aiuta a capire. Può sembrare noioso e prolisso, ma sgombra le ipotesi superficiali che vengono in mente quanto si devono fare affermazioni di un certo calibro.
L’uomo non è terrorista! Non esiste sulla faccia della terra un individuo che possa essere nato terrorista. Questa è l’affermazione. E da questa ne discendono infinite altre: l’uomo non è cattivo, buono, islamico, cattolico, integralista, democratico, stupido, colto, e così via. Avete modo di contestarlo? Non è ovviamente una sfida, ma, come sempre, l’invito al confronto severo. Non spicciolo; non basato su luoghi comuni e narrative mediatiche.
Cibare la mente di una realtà vivibile, considerando “vivibile” non certo la piena agiatezza e l’assenza completa di problemi, ma dosi di esse umanamente sopportabili e coniugabili con pari desideri e aspettative realizzabili, rende l’uomo ciò che sarà: un complesso di pensieri che rimarranno più o meno equilibrati senza alcun potenziale di minaccia presso i propri simili.
Cibare la mente potendo paragonare la realtà vivibile alla propria realtà di miseria, privati di un canone educativo e culturale che possa in qualche modo mitigare questa condizione e fornire strumenti per commutarsi tra le due realtà, rende l’uomo ignorante e spesso rancoroso, ma non necessariamente pericoloso.
Cibare la mente potendo paragonare la realtà vivibile a gravi sofferenze, privazioni e miseria senza via d’uscita, imprigionati in esperienze che non permettono alcun piano per il futuro, svuota l’uomo della sua umanità. Egli è cosciente di una possibile vita migliore alla quale è letteralmente vietato l’accesso: non può fuggire, e anche se ne avesse la possibilità non verrebbe accettato da nessuno. Ogni eventuale pulsione negativa innata si modulerà in senso negativo covando sentimenti di rabbia e rivalsa; e questi potranno esplodere senza possibilità di redenzione, se verrà istigato e guidato da chi li ha già fatti esplodere in sé.
La coscienza del terrorista si forma qui.
Egli nasce cibandosi di sofferenza e soprusi. Non vive, o vive malissimo. Non ha libertà; non può fare piani e non ha strumenti per emanciparsi; spesso può solo seguire ordini e rigidi dogmi imposti dal gruppo o dalla sua società immersa nelle stesse condizioni. Non ha scopo, se non quello fornito da chi lo indottrina. Non ha speranza, se non quella fornita sempre nelle medesime circostanze. E spesso non è speranza per sé, ma per la propria famiglia. Se mai egli potrà in qualche modo sfuggire a tutto questo, rimarrà ricattabile dal suo retaggio per quanto di caro gli è rimasto in “patria”.
Abbiamo permesso, con il nostro egoismo, di far nascere il terrorismo in tempi ormai troppo remoti. Oggi è una realtà molto solida che si autoalimenta, governa, e vessa interi popoli. Aggredirlo con le armi e distruggerlo è diventato praticamente impossibile
Ripeto: impossibile!
Non sembra sia rimasta soluzione se non quella di affidarsi allo sterminio, alla “pulizia etnica”, alla cancellazione di interi popoli nati innocenti ma con la sfortuna della miseria nera alimentata da chi ne incancrenisce definitivamente l’anima; privati anche di mezzi e possibilità di fuggire per essere pienamente accettati altrove. In quell’altrove dove la diffidenza della paura non potrà mai integrarli del tutto (ed è comprensibile).
Sterminare, però, non può essere un opzione! Come accogliere è troppo pericoloso! Né l’uno, né l’altro. Tuttavia si pretende che il terrorismo scompaia, per magia. O aggredendolo convenzionalmente con metodi di intelligence e assalto chirurgico che in realtà non esistono, se non in rarissime azioni/condizioni che fanno poco testo. Ecco perché si spara a caso, ovunque, e presso innocenti (ancora tali) che molte volte fanno da scudo. Uno scudo però - se fosse - al quale non si fa caso come nelle realtà in cui viviamo noi, dove l’eventuale ostaggio è difeso anche a costo di far fuggire il suo aguzzino.
E se ci fosse una terza opzione? Se ci trasformassimo in persone disposte a scendere a compromessi? Quelle persone che sono capi di Stato, potenze mondiali, e che si dicono sistemi di democrazia avanzata e cultura illuminata! Quelli che hanno avuto il privilegio (sudato dai loro avi) di alimentare la loro mente attraverso realtà vivibili. L’opzione che permette di penetrare i crogioli del male che abbiamo contribuito a determinare (anche in buona fede, per carità…) offrendo la mitezza, la ritirata da dove necessario, la parola dell’accordo, che deve farsi continua e insistente. Può essere la chiave.
Una scommessa, matematicamente vincente, sulle due, matematicamente svantaggiose e perdenti, come purtroppo è storicamente accertato. Allora adesso occorre fermarsi. Dichiararlo e iniziare a disennescare le ragioni del terrore, per infine togliere la benzina ai crogioli del terrore!
Non avverrà nessun miracolo, e probabilmente ci saranno rigurgiti. Occorrerà tenere la guardia sempre alta. Ma i risultati definitivi e positivi non potranno che manifestarsi con il tempo e la costanza. Come d'altro canto saranno certi i risultati negativi, se si continuerà a lottare contro questo nemico invisibile con le armi dello sterminio indiscriminato e della logica “dente per dente, occhio per occhio”. E non c’è intelligence e azione chirurgica che tenga, contro un male che ha sempre dimostrato quanto possa essere sfuggente e capace di riorganizzarsi in poco tempo, grazie all’infinito carburante di cui si nutre.
Il terrorismo rimarrà imbattibile, se non lo disinneschiamo affamandolo!
E’ compito di tutti i cittadini sollevare questa opzione presso i più potenti, con l’insistenza che non deve conoscere resa e obbligare i governi. Come nella metafora ricordata nel quadro che fa da copertina a quest’articolo, dove vediamo Giacobbe che lotta con l’Angelo che alla fine lo lascia vincere, obbligando Dio a essere indulgente.
Base foto: particolare del dipinto “Giacobbe lotta con l'Angelo” (Gustave Doré, 1855), presso Granger Collection, New York
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