La solitudine del contesto

La solitudine del contesto

In matematica la banale omissione di un segno può scatenare violente polemiche verbali e sfide a singolar tenzone, anche tra gli addetti ai lavori. Violentare la sacralità di una corretta notazione scientifica può addirittura sconvolge un risultato e renderlo quasi "liberamente" interpretabile, facendo il verso a quel detto burlesco: "la matematica è un'opinione".

Quando si abbandona il rigore e si accantona la logica perfino l'immutabile precisione di un calcolo matematico può diventare oggetto di polemica. Quindi immaginate cosa succede in un ambito molto più plastico come il confronto verbale su temi umanistici e filosofici. Un bagno di sangue!

Tutto può essere, incluso il suo contrario.

Ma non dovete cascare in questo tranello. Il relativismo esiste e si muove sempre all'interno di un perimetro, che è appunto quello scientifico e umano, ossia il più ampio contesto possibile; il relativismo, dunque, non è mai assoluto e indefinito da rendere il contesto (per quanto ampio) del tutto superfluo.

La massima ampiezza di un contesto viene poi ristretta dal campo specifico e dall'argomento preciso su cui si dibatte, finendo quindi per scalare una granularità tale da "intrappolare" il ragionamento (la critica) in un piccolo e chiaro spazio. E da quello non si scappa! Se il ragionamento si muove su queste corde, allora non esiste che tutto diventi possibile e anche il suo contrario, e si può invece giungere alla conclusione più probabile o approdare perfino a una certezza. Non ci saranno ambiguità e contestazioni che possano avere la stessa pregevolezza di quella conclusione, di quel risultato.

In matematica questa considerazione è assiomatica, non necessita di essere dimostrata perché è palese che le regole formali attraverso le quali ragionano i matematici, e chiunque utilizzi il calcolo, debbano necessariamente portare a un risultato vero o falso. Non esistono vie di mezzo e, men che meno, risultati ambigui.

Però le regole del ragionamento matematico le conoscono solo gli addetti ai lavori. Solo loro possono scorgere con immediatezza, per esempio, l'ambiguità della seguente notazione

Espressione: 36 / 3(8-6) ÷ 6

Socrate, che non era un matematico ma per certuni un gran rompiscatole, avrebbe detto: «Ti esti?». Che cos’è? Perché anche lui, intanto, avrebbe voluto capire di che calcolo si trattasse e per quale ragione era necessario farlo. Insomma, avrebbe voluto capire il “contesto” in cui muoversi per interpretarlo e fornire il risultato. La sua maieutica non avrebbe lasciato scampo e spazio a polemiche.

Alcune domande che potrebbero venire in mente, seguendo le rigide regole del ragionamento sul calcolo, sarebbero:

  • E’ un esercizio che si fa alle medie? E se è così perché si usa la moltiplicazione implicita sul prodotto 3(8-6) anziché 3·(8-6) ?

  • L’omissione del segno allude forse al prodotto 3(8-6) come entità algebrica? Quindi con precedenza di calcolo sull’ordine PEMDAS tipico?

  • E’ una qualche misura da calcolare?

  • Sono termini noti appartenenti a qualche equazione?

  • E’ un calcolo di grandezze fisiche o matematica pura?

  • Perché la divisione al numeratore non è annotata come numero razionale, visto che l’intera espressione rappresenta un numero razionale (frazione)? E cioè:
    • Espressione: [[36 ÷ 3](8-6)] ÷ [6]
      Così apparirebbe chiarissima (ma si può scrivere in altri modi altrettanto chiari)

  • E così via… (ci sarebbe anche dell’altro)

Tutte queste domande servono a capire in quale contesto è stata creata tale espressione; e determinandone il contesto si potrà anche ricavare il risultato disambiguo a prescindere dalle eventuali imprecisioni della notazione o della sua estemporanea compattezza su alcuni termini.

«Insomma, Ciccio, perché l’hai scritta così? Cosa vuoi sapere?»

La maggioranza delle persone tutte queste domande non se le pone (tanti di loro hanno anche odiato la matematica…). Chiunque sappia semplicemente far di conto risolverà l’espressione dicendo: il risultato è “4”. Anche fornendo l’espressione in pasto alla più sofisticata intelligenza artificiale oggi disponibile, abilitando pure il “deep thinking”, essa risponderà ugualmente “4” (salvo poi mandarla in tilt, costringendola a rivedere la conclusione, se attraverso un successivo prompt obblighiamo l’AI a determinare il contesto ed escludere ambiguità e altre interpretazioni).

Perché accade? Perché si “deduce”. Dedurre è un’ottima cosa - indispensabile - ma solo se non abbiamo altre possibilità; solo se non possiamo chiedere conto a nessuno della verità, e quindi del chi (Ciccio… per esempio) e del come di quella espressione scritta in quel modo. Magari ponendo i nostri dubbi e le nostre osservazioni.

Non compiendo questa attività intellettuale finirà come già scritto in premessa: polemiche sul risultato e sul procedimento di risoluzione, tra quelli che deducono troppo, quelli che deducono poco, e quelli che non vogliono affatto dedurre perché la ragione di quel calcolo con quella scrittura dovrà pur saperlo chi l’ha scritto! E, paradossalmente, avrebbero tutti una parte di ragione.

Una ragione che porta alcuni sul risultato di “4” e altri sul risultato di “1”, entrambi corretti in assenza del contesto. E ciò accadrà anche con molte calcolatrici scientifiche, software algebrici, e via discorrendo, che in assenza di contesto andranno a risolvere l’espressione applicando delle regole “arbitrarie” (algoritmi di parsing) per dedurre la notazione.

Quindi la mancanza di contesto genera liti perfino in una materia così rigorosa come la matematica, ostinandosi a dedurre regole secondo umore. Ma solo per chi non si accorge del tranello, e cioè del fatto che chi ha scritto quell’espressione e chiede di risolverla - visto la banalità stessa del calcolo da fare - l’ha fatto ricercando proprio l’ambiguità e la polemica, e per farlo deve anzitutto adombrare il contesto o renderlo talmente sfuggente dal doverlo generalizzare.

Una banale espressione matematica ci sta aiutando a capire quanto sia importante il rigore nel ragionamento di tutti i giorni. Ma la cosa più bella è che questo rigore non è proprio delle materie scientifiche - come la matematica stessa - ma è soprattutto necessario quando mancano delle regole rigide e dei simboli da rispettare, come appunto accade nel ragionamento di tutti i giorni. La plasticità della comunicazione linguistica caratterizzata dall’idioma (come lo è la lingua italiana), benché racchiuso nel suo perimetro semantico di regole sintattiche e logiche, è estremamente più vulnerabile alle speculazioni sulle notazioni del tipo che abbiamo fin qui discusso. Prima di tutto perché i termini (vocaboli) raramente hanno un significato univoco, e subito dopo per le tantissime sfumature che assume un certo termine (parola dopo parola) combinato al tono (di voce o di penna) e all’eventuale “linguaggio corporale” che lo sorregge.

Immaginate, dunque, quanto sia facile suggestionare e spingere chiunque a intendere cose totalmente diverse dalla realtà di una banale citazione, o perlomeno renderla ambigua, incerta, o perfino opposta, al significato storico in cui essa era stata maturata.

E’ quello che accade quotidianamente da parte di chi pratica l’arte retorica piegandola alla pericolosissima demagogia (parlare alle pance delle persone!), il cui principale ingrediente si fonda proprio sulla decontestualizzazione. Si astraggono i concetti al fine di conferire significati “a piacere” a pensieri, parole, azioni commentate.

Per esempio, è accaduto con la lettura di alcuni brani del Manifesto di Ventotene da parte della premier Meloni alla Camera dei Deputati, qualche giorno fa. Ne avrete sentito parlare così ampiamente che anche chi non lo conosceva avrà trovato il modo di capire cosa fosse: essenzialmente un documento di lotta, principi e fondamenta che auspicavano l’unità europea. Una visione partorita in quel lontano e martoriato 1941 (in pieno 2° conflitto mondiale) da tre intellettuali confinati dal fascismo, e uno di loro, Eugenio Colorni, fu anche assassinato dalla brigata fascista Koch pochi giorni prima della liberazione di Roma. Molto ci sarebbe da dire anche su Altiero Spinelli - de tre autori - pioniere dell’Unione Europea (cfr: Pionieri dell'UE). Egli fu scomunicato dal partito comunista a causa delle sue idee d’avanguardia; idee incompatibili con i totalitarismi che si erano impossessati dei principi marxisti per massacrare i loro popoli, come all’epoca avveniva in URSS per mano del regime stalinista.

La storia, il contesto, è necessario conoscerli. Sono elementi di valutazione imprescindibili, per capire. Come elemento dirimente di quel periodo fu la devianza criminale del regime fascista al quale voleva contrapporsi quel socialismo rivoluzionario di liberazione (come in parte, e per fortuna, avvenne).

La Meloni, conoscendo o meno la storia e i suoi personaggi, ha comunque estratto alcuni brani da quel manifesto e li ha privati del loro contesto, propinando a favore di telecamere una lettura che disegna pensieri folli, di pazzi comunisti, probabilmente gente che avrebbe voluto invadere l’Italia gridando «Viva Lenin e viva Stalin!».

Il gioco della decontestualizzazione si può fare con la matematica e ancor più con la storia, la filosofia e la letteratura in genere. Si può fare persino con i pensieri sacri delle religioni. Immaginate la Bibbia cattolica e la violenza del Dio vendicativo che trasuda da molti brani del vecchio testamento. Si può fare come ha fatto la Meloni, a patto che poi si cambi coerentemente religione o si diventi atei. Tuttavia, per molti cattolici la Bibbia sta ancora sul comodino, con quegli eventi descritti, con quelle parole violente, e si continua a essere cattolici.

I cattolici avveduti, probabilmente prima avranno criticato, avranno avuto dei dubbi, si saranno rivolti ad esperti, avranno ragionato, e infine avranno compreso il confine in cui vivono quei brani apparentemente inaccettabili. Sapete come? Semplice, leggendo anzitutto la Bibbia in tutta la sua estensione (molto faticoso) e soprattutto nel culmine del suo epilogo che avviene in Gesù Cristo, capace di prospettare l’estremo suo sacrificio come insegnamento sublime, pur di non esercitare egli stesso coercizione e violenza verso i cosiddetti peccatori e gli stessi aguzzini da cui si fece massacrare.

Non fatevi fregare. Il contesto è tutto!

Fatemi chiudere qui questo lungo articolo riprendendo l’analogia iniziale che ora dovrebbe essere molto più chiara - tra matematica e necessità di contesto in qualunque situazione di vita - qualche anno fa ne scrivevo anche in “Diritti e Doveri: la partita puoi vincerla” più sinteticamente e su un tema simile. Non dimentichiamolo: l’intreccio tra scienza e umanistica è talmente intimo da potersi considerare una totale fusione di sapere imprescindibile.

Base foto: Generata dall'IA (Gemini 2.0 Flash, 28/03/2025)

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P. Giovanni Vullo

In questa navicella spaziale, vado in giro a fare scoperte. Provo a capire come funziona. E ve lo racconto.