Filologia di cultura criminale

Filologia di cultura criminale

Mia moglie mi batte sempre quando ci sfidiamo per scoprire il tema di un thriller e il relativo assassino. Lei è davvero bravissima, anche quando si tratta di trovare lacune e discrepanze nella narrazione o nella sceneggiatura. Recentemente mi ha fatto notare come certe fiction, piuttosto famose, non si curino di fornire un quadro filologico che giustifichi la continua riorganizzazione della criminalità: la sconfiggi nella prima stagione, e nella seconda ricompare ancora più forte di prima. Ma come succede? E soprattutto perché succede?

Le risposte sarebbero sotto gli occhi di tutti. Avete presente quando c’è una vecchia e pericolosa buca sulla strada? Tutti la vedono, sanno che è molto insidiosa, e sanno anche che ripararla sarebbe semplicissimo.

Perché, allora, nessuno provvede?

Sul crimine non si interviene mai in maniera davvero arginante, proprio come quella buca sulla strada che anziché ridursi sarà aggravata dall’usura e dal tempo. Quindi il crimine rinasce continuamente diventando più forte ad ogni sconfitta, come chi perde mere battaglie di poca importanza confermando la sua capacità di poter vincere la guerra.

La buca sulla strada avrà occasione di fare danni perché l’Ente che dovrebbe provvedere non ha mai abbastanza soldi per intervenire, e così si ritrova anche ad affrontare costosissimi contenziosi di risarcimento. D’altro canto, la criminalità ha occasioni di ricrescere e riorganizzarsi dopo ogni sconfitta perché lo Stato preferisce spendere soldi in inutili battaglie piuttosto che applicare "semplicissime" soluzioni di efficace contenimento. E così paga di più e concede al crimine un'esistenza abbastanza tranquilla.

Questo è il punto.

Il crimine organizzato, in questa sua occasione di esistere, può sempre tornare a gestire le tante idee di malaffare che lo fanno prosperare: droga, prostituzione, gioco, scommesse, pizzo, truffe, furti, rapine, traffico di essere umani, prostituzione, smaltimento illegale di rifiuti, riciclaggio, eccetera. Serve molta manovalanza.

I capi osservano, fanno alleanze, distribuiscono ordini, esattamente come i vertici di un’azienda in perfetta salute. E nel momento in cui arrivasse la lunga mano della legge a decimare l’organizzazione di turno, si sarà solo creato spazio per farne sorgere un’altra, o semplicemente far avanzare alla linea di comando i restauratori che si sono fatti le ossa, magari sfuggendo all’operazione decimante. Potrebbero anche essere le “partita IVA” della criminalità, ovvero gli autonomi che dalla microcriminalità si spostano a quella organizzata.

Perché la nuova manovalanza non mancherà mai.

Sta tutta qui l’occasione di esistere che lo Stato concede alle organizzazioni criminali. La forza di poter contare sulle inesauribili risorse umane - cittadini! - pronti a inserirsi in nuove o vecchie unità criminali.

Persone ghettizzate, emarginate, incazzate, ignoranti, senza mestiere, senza più voglia, degradate in stati anche psicopatici, di cui lo Stato non si cura. E tra loro ci sono anche brave persone che a un certo punto sono scivolate e vengono divorate dalla disperazione di non riuscire a rialzarsi. Ma la platea si allarga ancora di più se consideriamo anche chi viene pesantemente sfruttato dal punto di vista lavorativo, spesso in nero e senza alcun diritto, compreso quello di ammalarsi.

Una periferia umana davvero sconfinata per il crimine, che peraltro garantisce anche un ottimo welfare alle famiglie di sodali “caduti” o “in aspettativa” nelle patrie galere. Ma nel momento in cui lo Stato iniziasse a volgere lo sguardo a questa periferia umana, aiutandola con un welfare di strumenti e denaro per emanciparsi e risolvere i loro problemi, cosa potrebbe accadere? Bisogna fare due conti.

Occorre capire quanto servirebbe investire partendo da un dato: quanto costa allo Stato la lotta classica alla criminalità organizzata?

I costi, tra perdite di produzione e lotta attiva (forze dell’ordine, magistratura, detenzione, rieducazione, etc.), furono stimati attorno all’7,7% del PIL nazionale, che nel 2011 significava circa 116 miliardi di euro l’anno, corrispondenti più o meno a 5 leggi finanziarie italiane! Non ho i dati odierni, ma con un po’ di pazienza e tempo (che al momento non ho) si possono estrarre dai WDR, World Drug Report, che l’unità unodc.org dell’ONU elabora annualmente. L’Italia ha il solito primato negativo, poiché si osservano costi di circa 7 volte superiori alle altre nazioni occidentali nel mondo (eg: Germania 1,3% PIL, UK 1,2% PIL, USA 2,3% - per ulteriori info sempre sul 2011 vedi: LINK ESTERNO).

Considerata l’enormità annuale che siamo costretti a pagare - tra spesa e ammanco - a causa del crimine organizzato, se si investisse anche solo l’1% del nostro PIL attuale, quindi 19 mld € (su circa 1900 di PIL totale), allo scopo di recuperare un 5% di quel PIL perso a lottare contro le mafie, avremmo abbassato quella perdita iniziale del 7,7% portandola al 3,7%, che è ancora tanto ma già significherebbe aver recuperato 76 mld € l’anno spendendo 19 mld €.

Il gioco vale sicuramente la candela.

Un gioco che può interessare uno Stato minimamente coraggioso e progettualmente capace, che non tratta le sue perdite come inesistenze, ma come veri e propri ammanchi quali essi sono. Lo Stato pavido e incapace, invece, ha perfino paura di lottare seriamente contro l’evasione, trattando anch’essa come inesistenza anziché ammanco per le proprie casse. E finché sarà così, possiamo anche presentare tutti i dati che vogliamo su un PIL che perde quasi l’8% l’anno - nel caso che ci occupa - ma lo Stato non vorrà mai interessarsi a questo 8%, né sarà mai disposto a investire i 19 miliardi dell’1% per recuperare quello che non ha interesse a vedere.

Lo Stato non sa da dove cominciare nel progettare un sistema di recupero di questo tipo, e probabilmente non sa nemmeno come misurarne gli effetti.

E’ dunque tutta questione di capacità nella vera lotta al crimine organizzato, quella lotta che toglie l’ossigeno diminuendo al minimo l’interesse per la gente a diventare manodopera e sodali del crimine, perché lo Stato investirebbe sulle persone, recuperandole e mettendole nelle condizioni di trovarsi un lavoro dignitoso. Per queste stesse persone sarà sempre più faticoso e meno redditizio che essere alla dipendenze del crimine organizzato, ma la possibilità di poter fare una vita onesta e ben meno rischiosa avrebbe la meglio. Alla criminalità diminuirebbero le occasioni di potersi organizzare e compiere i propri affari.

Ma non solo.

Recuperare cittadini non significa solo togliere ossigeno al crimine ma determina anche una serie di automatismi complementari. Alla fine non si recupererebbero solo quei 76 mld stimati, ma delle migliaia di persone socialmente reinserite, e salvo bias irrilevanti di chi rimarrà inattivo ma non pericoloso (meglio a casa che a far danni), altrettante diventerebbero attive contribuendo ad incrementare ulteriormente il PIL.

Tutto ciò con quell’investimento di soli 19 miliardi l’anno: 1% del PIL.

Per fare un ultimo termine di paragone, il Reddito di Cittadinanza era costato circa 8 mld l’anno, e basterebbe aggiungere quegli 11 in più per riformare tutto il sistema di supporto di assistenza sociale, centri per l’impiego, formazione e riqualificazione, realizzando un potente sistema in grado di agire in maniera granulare a livello dei singoli nuclei familiari.

Non dissimile da quello che fanno già gli altri paesi occidentali. E forse per questo loro sopportano costi di 6/7 volte più bassi rispetto ai nostri, in tema di lotta alla criminalità organizzata. E se questo è vero, non siamo stati da meno nel capire che avremmo dovuto farlo anche noi sin dal dopoguerra, come infatti è impresso nei principi della nostra Costituzione. C’è stato un inizio molto tardivo, oggi addirittura bocciato; ma l’Italia rimane un grande paese con grandi pensatori che hanno anticipato, almeno col pensiero, quello che poi altri hanno realizzato con successo (e questo non consola tanto).

Sono evidenze chiare e perfino banali. Non servirebbe dire altro ma mi sono anche ricordato di un articolo/intervista che lessi un paio di anni fa, a proposito di Reddito di Cittadinanza:

Il reddito di cittadinanza in 3 anni ha tolto più gente alle piazze di spaccio che la magistratura in 40 anni di blitz – racconta Ciro Corona, presidente dell’associazione (R)esistenza che coordina detenuti ed ex detenuti impegnati in lavori di pubblica utilità – nel giro di qualche mese però per effetto delle modifiche introdotte, nella mia associazione lo hanno perso tutti, perché viene fatto decadere nel momento in cui ci si trova di fronte una persona che abbia commesso reati penali nei 10 anni precedenti. Ma il Reddito c’è solo da tre anni – prosegue Corona – è ovvio che questa modifica tagli fuori tutte quelle persone che nel recente passato hanno avuto problemi con la giustizia e che però avevano deciso di cambiare vita. Il rdc per queste persone rappresentava la possibilità di non delinquere in attesa di trovare un vero lavoro.

​(Stralcio da un articolo su FQ a firma di Fabio Capasso, 03/10/2022)

La prevenzione è sempre l’arma più potente contro ogni problema sociale. Il benessere, la cultura e la riduzione della povertà sono obiettivi di prevenzione che mettono in crisi il crimine. Chi afferma il contrario, sia anche in grado di farne argomento razionale e credibile come ho provato io con questa riflessione.

Base foto: 50* anniversario de “Il Padrino” (fonte elaborazione/design ignota)

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P. Giovanni Vullo

In questa navicella spaziale, vado in giro a fare scoperte. Provo a capire come funziona. E ve lo racconto.