Il contratto

Il contratto

Ho firmato un contratto. Ero alquanto giovane, diciamo pure neonato. Nemmeno… non ero proprio nato, stavo nel grembo materno. Me lo “ricordo” benissimo. Non potevo capirci nulla, e non sapevo se era giusto, ma ho firmato ugualmente. In bianco. Potevano esserci quelle clausole vessatorie scritte in piccolo, quelle che poi ti dicono: «Eh, ma lei non legge prima di firmare?». Bella forza, nemmeno sapevo leggere! In verità, non sapevo nemmeno scrivere; la firma l’avranno messa i miei genitori. Sarà senz’altro così. L’hanno messa loro, come dicevano i latini: pro bono publico, cioè per il bene di tutti. Senz’altro anche per il mio bene.

E così sono venuto al mondo. Ho vissuto secondo le regole di quel contratto e ho studiato, come fanno tutti. E finalmente ho potuto capire quello che avevo firmato.

Devo dire che mi è piaciuto. Ho fatto la cosa giusta, e sono davvero soddisfatto. E fortunato, anche. Si, soprattutto fortunato. Già, perché avrei potuto scoprire di aver firmato una porcheria di contratto da dover impugnare e contrastare con ogni forza possibile. E’ successo nella storia umana, e capita ancora oggi ovunque nel mondo, che la gente nasca firmando una porcheria di contratto.

Ma è davvero necessario firmare un contratto per poter stare al mondo? E devono esistere tutti questi diversi tipi di contratto senza nemmeno la possibilità di poter scegliere quale firmare? Questa firma in bianco non va mica bene, tra fortune e sfortune di beccarne uno giusto!

Il fatto è che se non si firma ci si dovrebbe affidare alla solidarietà umana. E cosa significa essere solidali? Per esempio, quando si ammala un altro essere umano si fa di tutto per farlo guarire. Ma proprio di tutto. Perché in questo modo se capitasse a sé stessi si ha fiducia che qualcuno verrà in proprio aiuto. E’ semplice il concetto di solidarietà: io mi prendo cura di qualcuno, perché anch’io potrei aver bisogno che qualcuno si prenda cura di me (l’intelletto umano lo ha mutuato in: io ho i soldi per prendermi cura di me, quindi tu puoi anche crepare).

In natura la solidarietà, che possiamo anche chiamare “altruismo reciproco”, esiste ovunque nel regno animale. E’ istintivo e aiuta a preservare la continuità di una specie. Condividono il cibo, si puliscono a vicenda, si proteggono dai predatori, sfamano i più deboli, e tanto altro. E’ incredibile osservare queste cose tra gli animali. La solidarietà la osserviamo anche nei rapporti tra animali e umani, quando il gatto ci lecca per prendersi cura di noi come fa con sé stesso (eliminare i peli caduti, odori per i predatori, ripulirsi, etc.). Il gatto ci porta anche del cibo da condividere quando cattura le sue prede (non è certo il massimo… ma lui fa solo il sodale). E che dire del cane? Un altro formidabile esempio di altruismo reciproco che si lega alla propria famiglia di umani in completa simbiosi. Si farebbe uccidere per noi.

Dunque la materia c’è. Nel regno animale, con l’uomo al suo vertice da sovrano indiscusso, la solidarietà è un elemento centrale e fondante. Imprescindibile. E poiché nessun animale firma contratti, direi che a maggior ragione non avrebbe senso che li firmi l’uomo. Ma perbacco! Se qualunque animale è capace di reciprocità è indubbio che ne sia ancor più capace l’uomo, che ha anche una coscienza per dare un senso alla necessità di essere solidali, reciproci, cooperativi.

L’uomo mostra ogni altro tipo di affinità con gli animali. Lotta per il proprio territorio e branco, infatti ha sempre fatto guerre sanguinarie con i propri simili per garantire tribù e fazzoletto di terra con i suoi usi e costumi. Oggi sono la sua “patria” e la sua “cultura civile”. Questa è un’altra prova della capacità dell’uomo di essere solidale, avendo, come vediamo, ogni altra affinità con gli animali. Quindi sarebbe strano che fosse solo belligerante e non anche solidale.

Bene!

Se per non firmare serve solo essere solidali, e visto che l’uomo è certamente solidale, allora possiamo davvero evitare di firmare. Eliminiamo anche tutti quei problemi di capire se abbiamo firmato il contratto giusto. In altre parole diventiamo anarchici.

Tanti non sanno cosa sia veramente l’anarchia. La scambiano per assenza di regole, o peggio per la legge del più forte. Ma le regole esistono sempre, anche se solo naturali, come appunto la solidarietà umana. Non firmiamo un contratto con regole elaborate dall’intelletto umano, ma firmiamo il contratto con la natura stessa, con l’etica umana, per il semplice fatto di essere venuti al mondo e di doverne per forza rispettare l’etica naturale e le esigenze della specie. Quindi anche una società anarchica deve organizzarsi per far sì che tale etica non sia disturbata da pulsioni egoistiche.

Tuttavia questo può valere per quelli che firmano una porcheria di contratto. Loro questa riflessione sulla possibilità di diventare anarchici dovrebbero farla sul serio, perché rappresenta un salto tra chi ha firmato un ottimo contratto - oserei dire: un bellissimo contratto - come ad esempio il popolo italiano, e chi invece quel contratto dovrebbe migliorarlo con sommosse, guerre e sofferenze, che bene o male per noi sono ormai un ricordo. Insomma, per quegli altri nostri (sfortunati) simili l’organizzazione anarchica potrebbe essere la via più breve; e noi potremmo addirittura imparare qualcosa di nuovo per migliorare ancora di più il nostro contratto, verso la perfezione dell’etica naturale umana, giusnaturalista.

Anche perché…

Beh, anche perché nel contratto che io ho firmato da italiano, e che avete firmato anche tutti voi, c’è un’alterazione sinallagmatica importante. Questo lo rende un contratto a prestazioni corrispettive violate e più spesso manipolate. Non voglio fare il difficile usando terminologie giuridiche, ma è quello che spiega meglio la nostra situazione di cittadini.

Il sinallagma contrattuale è un rapporto in cui due entità, in questo caso i Cittadini da una parte e lo Stato (qui inteso nella dualità di popolo e sovranità di governo, non rilevando il territorio) dall’altra parte, assumono delle obbligazioni per adempiere alle rispettive prestazioni che sono stabilite nel contratto stesso. Se una delle parti non adempie perfettamente come previsto dal contratto, allora l’altra parte sconta la penalità prevista, o in assenza conserva il diritto di diventare anch’essa inadempiente (in termini giuridici: exceptio non adimpleti contractus), può addirittura arrivare a risolvere il contratto.

Questa è una semplificazione da cui non si sfugge, ed è roba intellettuale ovviamente. Abbiamo abbandonato un istante le evidenze di ordine naturale dell’uomo e ci stiamo addentrando nel suo modo di interpretare i fenomeni attorno a lui. Devo usare quest’altro tipo di approccio perché firmando un contratto di tipo intellettuale non abbiamo solo il mezzo naturale per contrastarlo (un contratto contro natura non avrebbe senso) ma possiamo usare - e almeno dobbiamo provarci - lo stesso mezzo che l’uomo ha usato per partorire tale contratto, ossia le sue elucubrazioni cervellotiche.

A tutto dire, non sono nemmeno male come elucubrazioni, visto che questa storia contrattuale e la relativa alterazione sinallagmatica sono concetti planetari millenari, assodati e condivisi, ed è quindi facile mantenersi sullo stesso solco generativo. Sicché, anche così possiamo contestare un contratto dove una parte - Cittadini - è costretta a rispettare le proprie obbligazioni, mentre l’altra parte sonnecchia, sorvola, viola, reinterpreta, manipola, per evitare di adempiere a sua volta. E quest’altra parte è lo Stato. A poco, in tal caso, serve aver firmato un contratto stupendo, che poi una parte interpreta come gli pare. Non vi pare?

Se vi pare allora la delega contrattualistica non sta funzionando. Io, per esempio, quando firmai quel contratto - che ripeto: è bellissimo, sulla Carta - non lo sapevo che una parte non aveva intenzione di vincolarsi. Quella parte si è presa la delega e cambia continuamente le carte in tavola, facendo diventare porcheria quella cosa meravigliosa. Sicché, avrei firmato anch’io - tutti noi - un contratto porcheria?

Ovviamente no. Non so voi come la pensate, ma io resto convinto di aver firmato un ottimo contratto, e intenderei anche difenderlo con le unghie, perché è un contratto già abbastanza evoluto da non spingere a rivoluzioni anarchiche per capire se funzionino meglio o meno. Voglio - e non desidero - che funzioni il mio contratto, che per grazia ricevuta ho avuto il privilegio di poter firmare!

Lo Stato, controparte dei Cittadini che lo hanno delegato ad assumersi degli obblighi, abdicando alla loro sovranità individuale e assumendola collettivamente come popolo, deve garantire tale prestazione! Altrimenti quell’equilibrio - sinallagma - si altera e concede ai Cittadini di diventare anch’essi inadempienti (caos) o addirittura arrivare al recesso totale (ancora più caos).

Il caos quando arriva arriva. Il muso duro non serve, e la storia è maestra.

Rousseau fu il principale ispiratore dello Stato Democratico. Egli spiega molti concetti nella sua opera “Il contratto sociale: principi di diritto politico”, già nella prima edizione del 1762, a cui si ispirarono i principi democratici post rivoluzione francese. Il contratto sociale di Rousseau era l’equilibrio perfetto che si riusciva a ottenere nel traumatico passaggio dallo stato di natura allo stato civile. In maniera quindi molto diversa da Locke e Hobbes (altri contrattualisti) egli individuava tale equilibrio in questa sua fondamentale premessa:

Trovare una forma di associazione che difenda e protegga, mediante tutta la forza comune, la persona e i beni di ciascun associato e per mezzo della quale ognuno, unendosi a tutti, non obbedisca tuttavia che a sé stesso e rimanga libero come prima.

(libro 1°, cap. 1)

Pare la premessa di un anarchico, eppure parliamo di un contrattualista.

Vi consiglio vivamente di leggere l’opera di Rousseau, e magari metterla a confronto delle teorie di altri contrattualisti. E alla fine leggervi il contratto che io, e voi, abbiamo firmato per trarne le opportune riflessioni.

Ma quale sarebbe questo benedetto contratto di cui stiamo parlando da mezz'ora?

La COSTITUZIONE ITALIANA, nel nostro caso.

E’ questa la cosa bellissima che abbiamo avuto la fortuna e il privilegio di firmare da cittadini italiani, perché in essa è contenuta tutta quella solidarietà di cui abbiamo parlato: tutta la reciprocità, la forza comune, l’aiuto collettivo, l’unione dei cittadini, il bene comune e individuale da proteggere, la libertà irrinunciabile che spetta ad ogni individuo nella stessa identica misura di ogni proprio simile (concetto di uguaglianza ed equità).

E vi sembra che queste garanzie siano adempiute dalla controparte - lo Stato - come governo e parte del popolo, che deve eseguire le necessarie prestazioni?

Mi pare di avvertire un fragoroso coro di «Ma quando mai!».

E per sentirlo basta anche fermarsi al quel formidabile art. 3

Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.

È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

Quest’articolo racchiude l’essenza dell’intero contratto, per dire quanto sia qualitativamente elevato ciò che abbiamo firmato senza dover leggere null’altro. E’ come quando Gesù disse ai suoi discepoli di dimenticare tutte le cose vecchie e complesse, riassumendo ogni concetto divino in un unico grande comandamento: «Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io ho amato voi». Ogni buon cattolico sa che basta osservare tale precetto, e si è certi di conoscere tutta la Bibbia anche senza averla mai letta.

Prendere a paragone Gesù non è peregrino o blasfemo, sia chiaro. Pensate a quanto possa essere difficile rispettare il suo comandamento (ricordate i supplizi che sopportò Gesù per dimostrare tale amore, che vengono qui richiesti anche ai Cristiani). Eppure è giusto farlo. Sappiamo che questa estrema forma di solidarietà è quella che ci rende superiori agli animali, già naturalmente solidali. E fare il paragone col precetto costituzionale dell’art. 3, riportato sopra, fa emergere la stessa difficoltà di magnificazione che abbiamo, stavolta, per qualcosa che noi stessi abbiamo pensato, scritto e firmato. E ci fa dire quel «Ma quando mai lo Stato lo ha rispettato?».

Mai. O talmente poco da far storcere il naso e disamorare per tutti i “delegati” che mandiamo a sedere per farli discutere e applicare questo formidabile precetto. Invece fanno altro; soddisfano altri interessi.

E così ovunque nel mondo, sia chiaro. Perché in tutto il mondo Occidentatale si firmano ottimi contratti con precetti molto simili ai nostri. Ma chi governa, poi, trova il modo di consociarsi attorno a interessi diversi e arbitrari, disonorando l’adempimento che gli è doveroso con la complicità di ogni altro suo potere. Non va, infatti, lasciata indenne quella parte che “contempera” gli interessi dello Stato mettendosi talvolta strati di bende sugli occhi: la nostra Corte Costituzionale. Bravi… ma spesso ondivaghi.

Non si può non vedere che gli ammalati non sono tutti uguali; non si può essere ciechi alla povertà e allo sfruttamento lavorativo; e nemmeno alle ributtanti disuguaglianze di una giustizia dall’ipocrita motto “uguale per tutti”, che in tale impostura veniva bacchettata perfino da Calamandrei. Altrettanto imperdonabile è una scuola nozionistica che forma soldatini e non fa emancipare i cittadini; o un welfare che non sostiene chi resta indietro. Non si può, infine, rimanere inerti di fronte a un 2% di cittadini, ancora in calo, che detengono la stessa ricchezza di un insieme pari al 98%, ancora in aumento.

Ma quale pari dignità e uguaglianza?

Nessuno ci venga a dire che ciò che si legge già solo in quell’art. 3 - che mi onoro anch’io di aver firmato - si interpreta a seconda degli umori e degli interessi di chi viene delegato a doverlo adempiere pienamente e senza condizioni.

Non rimane che concludere e riportarci agli argomenti introduttivi.

Non li ripeterò e non farò sunti pedanti. Non vi sembra abbastanza chiara la riflessione che sto provando a intendere? Non sono forse già lampanti le nefaste conseguenze (storicamente ripetitive per verosimiglianza) che porta questa alterazione sinallagmatica? Il futuro, l’inadempienza, il caos. Il “reboot”, come amano dire alcuni per spiegare fenomeni che non comprendono, o per semplificarli con complottismi e interpretazioni di comodo.

Trovate voi la critica e ogni richiesta di approfondimento. Io non mi sottraggo; vi leggerò sempre volentieri.

Base foto: AI, Grok 2 mini (beta), 28/08/2024

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P. Giovanni Vullo

In questa navicella spaziale, vado in giro a fare scoperte. Provo a capire come funziona. E ve lo racconto.