La famiglia del 2000

La famiglia del 2000

Lucio Dalla manca terribilmente. E’ sempre stato oltre; di sintesi ineguagliabile nel raccontare, cantando, la società complessa. Forse oggi solo Vasco Rossi, con tutt’altro stile, rimane attivo e prolifico con capacità simili. Lucio immaginava quasi trent’anni prima che il problema principale dell’uomo sarebbe stato uno e persistente: la sua maturità umana. La vedeva nel ragazzo del 2000, del quale ancora non eravamo riusciti a “disegnare il cuore”. E oggi, dopo un altro quarto di secolo, siamo ancora a capire come sia fatto questo cuore.

Lo cantava nel brano del ‘76 “Il motore del 2000”, reso famoso nella pubblicità della Fiat Uno Fire dei primi anni ‘90, la quale - ironia della sorte - ha avuto la tecnologia motoristica più longeva di sempre: la FIRE appunto (Fully Integrated Robotized Engine), tecnologia italiana tutt’ora in produzione. E in quel brano, di insolite poche parole, Lucio indicava come l’uomo procedesse a passi da gigante nella tecnologia e senza tuttavia conoscere ancora a fondo sé stesso.

Non è l’interrogativo eterno. E’ la conoscenza della sua essenza; il punto di partenza per poi iniziare a perfezionarsi. Nulla di trascendentale. Poca roba, ma importante; lo voglio ricordare correlando questo imperscrutabile cuore d’uomo moderno con la sua trasposizione sociale: la famiglia.

La famiglia del 2000 è esattamente come il ragazzo del 2000: non è una cosa chiara, né scontata. E come potrebbe esserlo, se i ragazzi, così come i loro stessi genitori, non sono mai stati maturi per comprendere sé stessi. Potrebbero mai comprendere cosa sia la famiglia? Magari qualcuno va a caccia di brani tratti da dogmi religiosi, così da inquadrare in qualche modo un certo tipo di famiglia: quella morale, per esempio. Ma lo è appunto nella morale religiosa, spesso seguendo il dogma senza comprenderlo. Com’è ovvio: per fede.

Talvolta anche l’esegesi sacra ci porta altrove, mentre si interpretano i testi con autentica sincerità. Quella sincerità che riduce i ragionamenti complessi a principi elementari, e tutto si semplifica considerando unicamente l’amore. Ed è questo, l’amore, il collante dogmatico alla base di qualunque religione. Tutto esisterebbe per amore, e niente può essere escluso dall’amore.

Gesù, ad esempio, nella religione cattolica, non compie mai nessun riferimento esplicito a ciò che è famiglia; egli stesso forma in un certo senso famiglia con gli apostoli, ai quali chiese di seguirlo lasciando la loro famiglia. E’ più o meno così anche nel vecchio testamento. Le vicende sono ovviamente narrate nel contesto delle epoche, e delle usanze, e questo viene spesso ricordato nell’interpretare altre affermazioni evangeliche, come il fatto che Gesù avesse “fratelli e sorelle” che in realtà non avrebbe mai avuto (perlomeno di sangue).

L’amore è sempre centrale, e ciò va letto al netto dei rapporti carnali tra marito e moglie, compagni, omosessuali, e via discorrendo. Non dovremmo preoccuparci di questo, ma del concetto di famiglia in un contesto principalmente affettivo, di condivisione, di muto sostegno, dove si dona senza il minimo secondo fine.

Di solito inizia con due persone che s’incontrano. Nella maggioranza dei casi sono un uomo e una donna. Se va bene stanno insieme tutta la vita, e decideranno o meno di fare dei figli, o adottarli, o fare entrambe le cose. Si adottano anche persone adulte, e anche sposate, un istituto secolare che nel nostro codice civile è disciplinato da una sezione dedicata (artt. 291 e ss., revisionati dalla Consulta).

In nessuna epoca è stato possibile affermare che la famiglia è tale se c’è uomo, donna e figli. Questo genere di famiglia è tuttavia l’unica che può assicurare la continuazione della specie umana; ma l’importanza che essa riveste nella società non è diversa da chi poi si deve prendere cura della vita in un contesto affettivo generale, dedicandosi a studi e pratiche utili per migliorare l’esistenza umana in generale (filosofia, scienza, medicina, tecnologia, progresso).

Procreare e prendersi cura. Due modelli che potremmo distinguere in famiglia generativa e famiglia affettiva. Se mancasse l’una o l’altra l’umanità si estinguerebbe.

La famiglia affettiva circoscritta è quella che adotta, neonati, bambini, adulti, o semplicemente si compone tra persone che condividono la vita. Famiglie che si costituiscono senza contribuire demograficamente, ma contribuendo in quell’altro verso: prendendosi cura della vita. L’ottica non cambia in nessun caso, l’impulso lo fornisce sempre l’amore attraverso il quale si forma la famiglia che procrea, che si prenda cura, o che fa entrambe le cose.

Fare entrambe le cose è piuttosto raro, poiché significherebbe fare figli e anche adottare, o comunque prendersi cura di altri, integrandoli nella propria famiglia. Prendersi cura solo dei propri figli naturali non determina il fare entrambe le cose. L’amore per i propri figli desiderati è scontato; mentre non lo è la vocazione di adottare e condividere la vita con altre persone. Prendersi cura della vita in queste diverse forme pare ancora più consapevole e dettato da un amore che non può essere mai scontato.

La sinergia tra i due modelli familiari, quelle che continuano la specie e quelle che se ne prendono cura, permette di non doversi preoccupare quando l’esistenza scorre senza incontrare il partner della vita; permette di non doversi preoccupare di essere sterili; permette di non doversi preoccupare di essere diversi; permette di non doversi preoccupare di essere disabili. Permette, insomma, di poter esistere felicemente e indipendentemente da come andrà la vita, e potersi assicurare sempre una famiglia, se si vuole.

E questo è straordinario.

E’ la famiglia del 2000, ma che è sempre stata. Due modelli, entrambi famiglie dell’amore, in cui uno dei due ha molte, se non moltissime, manifestazioni di famiglia in quel “prendersi cura della vita”, perché un padre con un figlio (naturale o adottivo) è famiglia; una madre single, è famiglia; un uomo e una donna; un uomo e un uomo; due donne; diverse persone che decidono semplicemente di vivere insieme, condividere, sostenersi, amarsi, sono famiglia!

Molti di questi ovvi rilievi sono stati irrazionalmente osteggiati nel tempo da governi o regimi fanatici, e lo sono tutt’oggi in varie parti del mondo. Nella storia sono intervenuti tanti personaggi che hanno inventato sigle e si sono proposti paladini a sostegno dell’ovvio. Senza voler sminuire nessuno di loro, di recente potremmo parlare di Michela Murgia e della sua idea di “famiglia queer”.

Ne potremmo parlare, ma francamente lo trovo irrilevante. Perché dobbiamo ribadire l’ovvietà delle riflessioni che abbiamo fatto finora: procreare e prendersi cura; due tipi di famiglie mosse dallo stesso identico amore che spinge a formarsi. Porre a ciò delle etichette identificandole come famiglie tradizionali, naturali, gay, omosessuali, queer, e via discorrendo, non ha alcun senso. Sono famiglie, e questo dovrebbe bastare.

Oltre a esistere nella dimensione etica, meriterebbero tutte lo stesso riconoscimento e tutela anche in ambito legale, ma sappiamo che non è così. E questo addolora, perché dimostra quanto avesse ragione Lucio Dalla a puntare il dito sull’immaturità dell’uomo nell’essere consapevole di ciò che ha nel cuore. Invece di ascoltare questo suo cuore, pone ad esso delle regole e mette paletti su come dovrebbe funzionare. Molto sciocco.

Ma c’è anche un paradosso da esaminare, quando il fulcro centrale del proprio ideale di famiglia è il partner di vita.

L’immaturità dell’uomo percuote la sua sincerità nelle relazioni che prova a costruire, e si tradisce da solo quando prova un amore che in realtà non è in grado di sostenere una famiglia. La famiglia affettiva, tanto importante quanto discussa, è quella che forse paga le maggiori conseguenze, perché spesso costituita senza altri legami di sangue che facciano da collante; e, altrettanto spesso, priva di tutela civile o religiosa (si pensi alle famiglie omosessuali, o le “queer” menzionate prima). Ed è molto più facile che la superficialità nel costruirla la mandi all’aria per banalità e in poco tempo.

I legami di sangue si possono costituire solo nella famiglia generativa. Ed è qui che nasce quel paradosso. Perché anche queste famiglie sono soggette all’immaturità umana nel costruirle; tuttavia i legami - psicologicamente più forti - le fanno resistere di più, a volte per sempre, degenerando comunque in rapporti tossici che avvelenano l’esistenza di tutti i familiari. E talvolta esitano nei drammi di cronaca nera.

Allora, nell’immaturità, cosa sarebbe meglio: la famiglia generativa o quella affettiva?

La famiglia affettiva garantisce una maggiore libertà di errore e possibilità di ricostruzione, però in una continua lotta contro la superficialità e la ricerca di partner con cui ripartire, che dunque può determinare una vita di separazioni, attese, insoddisfazioni e tristezze.

La famiglia generativa avverte molti più freni inibitori, si sforza di risolvere i problemi e ricostruire continuamente lo stesso rapporto degradato o nato superficialmente. E così si soffrirà su un altro piano, ma con intensità che non possono dirsi né maggiori né minori rispetto alla famiglia affettiva.

Non si può scegliere. E non ha senso farlo, perché l’umanità ha comunque bisogno di entrambi i modelli di famiglia. E nulla spinge a formare l’una rispetto all’altra. La scelta è innata nella genetica personale di ciascuno.

Dobbiamo certamente maturare, per ridurre al minimo le superficialità, ma tornare anche alla constatazione iniziale: i ragazzi del 2000 dovrebbero lasciare che il loro cuore riesca a disegnare ogni tipo di famiglia basata sull’amore sincero. Nessuno stereotipo moderno, ideologia, dogma, propaganda politica, deve inibire la propria capacità di saper riconoscere e accettare una qualunque famiglia basata sull’amore. E ricordando, semplicemente, che le cose stanno come le abbiamo fin qui descritte dacché l’uomo esiste sulla terra.

A queste riflessioni vorrei anche associare alcuni pensieri sull’aborto e sulla maternità surrogata, che ebbi modo di esprimere diversi mesi fa. Leggete anche quelli, se vi fa piacere, e fatemi sapere cosa ne pensate.

Base foto: particolare de ”La famiglia felice”, dipinto di Jan Steen, 1668, RijksMuseum, Amsterdam

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P. Giovanni Vullo

In questa navicella spaziale, vado in giro a fare scoperte. Provo a capire come funziona. E ve lo racconto.