Un tempo eravamo più educati. Non è vero! Un tempo l’istruzione era davvero di qualità. Non è vero! Un tempo c’era più lavoro. Non è vero! Un tempo si facevano più figli e si riuscivano a crescere tutti bene. Non è vero! Un tempo non era pericoloso il motorino in due e senza casco. Non è vero! Un tempo c’erano meno guerre. Non è vero! Oggi si sta peggio di ieri. Non è assolutamente vero!
Un tempo eravamo meno esigenti. Questo è vero! Ma ci torneremo dopo.
Prima affrontiamo queste mie negazioni cercando di capire quanto siano eventualmente valide; e vi prego anche di non azionare pregiudizi verso queste riflessioni ritenendole ottimiste. Vedrete che non lo sono. Andremo semplicemente al sodo, osservando la realtà dei fatti e degli atteggiamenti umani che dovremmo riconoscere come i più logici e naturali, per migliorare sempre di più noi stessi e la società che viviamo.
Mi preme anzitutto censurare quel detto buffo «Si stava meglio quando si stava peggio!», perché oltre a essere il peggior luogo comune di sempre - forse se la gioca solo con l’altra colossale sciocchezza del «Abbiamo fatto sempre così!» - il suo significato è davvero orribile. Evoca la peggiore sconfitta umana che si possa realizzare, rimpiangendo addirittura una condizione del passato per cui ci si lamentava. Immaginate come si possa concepire la soluzione a un problema invocando di poter rivivere il problema precedente.
Ma poi, siamo sicuri che i problemi del passato fossero davvero più accettabili?
Per rispondere a questa domanda sarebbe sufficiente osservare la propria vita. Lo potrebbe fare persino un bambino ripercorrendo i suoi pochi anni già vissuti, osservando che all’inizio non parlava e non camminava, ed era una gran seccatura per la sua autonomia, ma perlomeno c’era qualcuno che lo portava in giro in braccio, sul passeggino, gli prestava la massima attenzione per capire cosa volesse comunicare con la sua lallazione primitiva. Poi si mette a parlare e camminare, rendendosi conto che camminare è tuttavia faticoso, e rimpiange (e piange pure!) per essere preso nuovamente in braccio o poter utilizzare il vecchio passeggino. E così col linguaggio: gli altri iniziano a pretendere che si esprima bene, e per spronarlo talvolta lo ignorano; non è più come una volta, quando riusciva a catalizzare l’attenzione con strilli e lamenti a cui tutti prestavano sempre la massima attenzione.
Poi la scuola, ma era meglio giocare. Poi il lavoro e l’autonomia, ma tutto sommato erano meglio i genitori. Poi l’ambizione per un nuovo lavoro, e magari si torna a rimpiangere il primo. E così all’infinito: a rimpiangere sempre qualcosa.
Se queste ovvietà soggettive - vissute sulla pelle di ciascuno - non ci convincono ancora, allora si vada a caccia di dati e statistiche su quelle negazioni oggettive che facevo all’inizio. Per esempio quel discorso un po’ banalotto di caschi e motorini che non erano pericolosi, basta vedere quante vittime ha prodotto quell’epoca proprio a causa di quelle leggerezze. Oppure l’istruzione che era di qualità migliore, ma neanche per sogno. Era più circoscritta a chi se lo poteva permettere e stagnava su opere e testi che i docenti selezionavano, mentre oggi l’accessibilità e pluralità sono universali e si ha tutto a portata di “click”, gratuitamente.
Le guerre, poi, sono ancora nel DNA umano. Non esiste epoca priva di conflitti, ben più duri, estesi e sanguinosi di quelli odierni, oggi pur sempre abominevoli ma più contenuti, condannati, moralmente osteggiati dalla gente. E’ senz’altro meglio oggi; anche per il potenziale bellico che permette di estinguerci molto più velocemente e con meno sofferenze (se proprio si deve fare…).
Ma i media, i social, alcuni influencer o pseudo intellettuali, diffondono supercazzole e meme stupidi come quelli banali dei motorini, della meravigliosa gioventù di un tempo, degli orrori più pungenti dell’oggi, e sciocchezze del genere. Poi per svogliatezza neuronale di chi legge o ascolta attecchiscono nelle loro menti. Meno di un tempo - perché siamo meno stupidi - ma essendo più numerosi e iperconnessi la stupidità oggi si manifesta in maniera molto più evidente e scioccante. Come le brutte notizie e la cronaca nera, di cui una volta si conosceva poco e molti fatti rimanevano nei tabù locali; mentre oggi anche le quisquilie possono fare il giro del mondo in femtosecondi. Dal “news desert” di una volta alla “infodemia” odierna; però l’infodemia genera disinteresse, cinismo e costante diffidenza, per cui si ha il medesimo effetto del “news desert”. Simpatica cosa: qui non è cambiato granché.
Molti di noi s’imbarcano nell’irrefranbile voglia di fare figli. Ma quando i figli arrivano si rimpiange il tempo in cui si era liberi e spensierati, senza le apprensioni e preoccupazioni per la loro crescita e il loro futuro. Questo è forse l’unico rimpianto per cui non diremmo mai veramente che “stavamo meglio prima”, perché vedere i figli crescere, educarli, accompagnarli nei loro percorsi di autonomia, per quanti sacrifici e preoccupazioni questo possa comportare non ci farà mai dire meglio prima.
A proposito di figli, dicevamo che in passato si facevano senza pensarci tanto e si riusciva comunque a crescerli senza problemi. E chi crede a quest’altra assurdità?
E’ vero, i figli si facevano con più facilità; ma non è che si crescevano senza problemi. Magari i problemi non se li facevano quei genitori, perché i figli li crescevano per strada, con poco, in austerità, mandandoli a lavorare fin da bambini, e così via. Ma quei figli i problemi credo se li facessero, e se non se li sono fatti, o non hanno avuto il coraggio di ammetterlo, sono cresciuti da individui frustrati con l’idea che questa sia stata la miglior lezione di vita. E i risultati sono stati più o meno disastrosi.
Oggi nel mondo occidentale le natalità si sono ridotte all’osso. La maggioranza, probabilmente, ha elaborato l’ambiente austero in cui un tempo si crescevano i figli, e oggi, pur essendoci più opportunità, non si ritiene che tali opportunità siano abbastanza da poter garantire un ambiente di crescita e maturazione adeguato per i propri figli. I potenziali genitori odierni sono diventati più esigenti, tutto qui.
Bene, siamo tornati a quell’unica cosa vera del nostro elenco iniziale: siamo diventati più esigenti!
Proprio l’accontentarsi è l’altra chiave.
Accontentarsi è logico. Ma per l’essere umano non è mai un atteggiamento isolato e definitivo, perché essendo un prezzo da pagare le persone si chiedono di cosa si dovrebbero accontentare e per quanto tempo. L’atteggiamento ha dunque senso per brevi e circoscritte istanze temporali, laddove non vi sono alternative ed è necessario accettare le condizioni per poterci poi lavorare sopra e migliorarle. Questo, peraltro, è accettabile solo per ragioni di forza maggiore e mai per volontà di poteri superiori e sempre umani, come accade nelle dittature e in ogni società con forti disuguaglianze sociali.
Accontentarsi per migliorare, questo diventa l’atteggiamento finale attraverso il quale può vivere il concetto molto temporaneo di sacrificio.
Quindi capite come sia umanamente impossibile accettare un vecchio problema, ipoteticamente più sopportabile, senza subito dopo tornare a chiedersi come migliorarlo! Insensato, illogico, impensabile. Il passato non si recrimina mai, perché occorre accontentarsi del presente ed essere esigenti per migliorare quel che va storto. E di cose che vanno storte ovviamente ce ne sono tante, e tanto da indurci - purtroppo - a quell’allarmante denatalità che toglie persino la voglia di far figli.
Non possiamo fare a meno di essere esigenti. Questo è il meccanismo d’azione naturale che ci ha permesso di giungere fin qui. Se ci fossimo solo accontentati, staremmo ancora a mangiare carne cruda chiusi dentro le caverne.
Manca solo di capire con chi si dovrebbe essere esigenti: con sé stessi? Con altri? E’ giusto per concludere ponendo quest’accento, ma non vi annoierò sicuramente argomentando l’ovvio sul “chi” ne è responsabile o delegato, l’importante è vincere sulla propria indolenza e passare sempre all’azione per far pesare come un macigno la propria legittima esigenza.
Base foto: StockSnap da Pixabay
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