Chi pagherà?

Chi pagherà?

Un leggero mini saggio che punge il cuore pulsante della nostra società: il sistema che ci fa guadagnare da vivere; il modo in cui ci vengono garantiti i servizi essenziali; i nostri figli; le esigenze dell’economia; il progresso tecnologico. Attorno alla premessa del “Chi pagherà…?”. E’ tutto così legato che riusciamo a farne un’unica riflessione organica, soprattutto divulgativa e comprensibile nel suo condensare in estrema sintesi decine di dati, report, studi e ricerche.

Vedrete che non è poi così difficile comprendere le inscindibili relazioni tra demografia, lavoro, consumi, PIL, tasse e welfare. Se però non ci mette lo zampino il progresso tecnologico…

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Un personaggio pubblico - che qui chiameremo Amilcare - qualche giorno fa twittava un commento allarmato sul problema della denatalità nel nostro paese. C’è anche da dire che da poco si sono svolti i cosiddetti Stati Generali della Natalità, e anche da quel pulpito sono stati lanciati allarmi simili.

E’ vero: stiamo decrescendo. La popolazione invecchia, si riduce, ed entro il 2050 avremo dato l’addio al 20% dei lavoratori. Niente nascite, quindi niente nuovi lavoratori; e giustamente Amilcare si chiede chi pagherà le tasse per il welfare. Non potremo più permetterci il nostro sistema sanitario, le pensioni, la scuola, e tutti i servizi sociali essenziali.

Il problema non è nemmeno limitato all’Italia ma sta interessando tutto l’Occidente.

Il declino dei sogni di molti cittadini nel potersi costruire un futuro con delle certezze produce inevitabile sfiducia. E diventa difficile fare quel passo che dona gioie immense, come mettere al mondo dei figli; ma fa anche pensare a un futuro troppo opaco che non permette di estendere quelle gioie immaginandolo prosperoso per i figli stessi. Lo immaginiamo, sí, ma pieno di troppe e pesanti incognite. Come quelle che vivono già gli aspiranti genitori: dirlo è paradossale ma trattenersi dal fare figli diventa in questo caso una rinuncia quasi eroica, tanto è il malessere e le gioie sottratte.

Ci sono anche le sciagurate certezze negative odierne: l’impossibilità di studiare e formarsi ovunque, se non si è benestanti; la ridottissima competitività di chi cresce in famiglie umili; l’ascensore sociale palesemente rotto; l’impossibilità di rifiutare un lavoro dequalificante, con paghe da fame, o in palese sfruttamento, perché lo Stato non sostiene più nessuno; l’ormai ridottissima capacità della santià pubblica in prevenzione e cure, che limita il diritto alla salute solo a chi può realmente permetterselo; la subdola e ipocrita libertà di amare, perché un integralismo intollerante emargina e disprezza il diverso in maniera più o meno palese.

Alcuni sosterrebbero che i figli non si fanno per via di un accresciuto edonismo e individualismo che tende a volersi godere la vita senza prendersi troppe responsabilità, approfittando del notevole benessere che offre la modernità. Certo. Ma dovremmo prima smentire quelle “certezze negative” e “incognite” di cui abbiamo appena parlato e che sembrano molto serie e reali. D’altra parte non abbiamo nemmeno indizi di questa ipotetica forma di godimento che potremmo ritenere da egoismo iperbolico. Nessun dato su questo “meraviglioso benessere”, che esiste certamente per pochi. Se anche ne avessimo mancherebbero poi dati a conferma del baratto egoistico: tra l'irrefrenabile genetica che ci impone la riproduzione, e il frenarsi per poter godere al massimo di quel benessere.

Si vivacchia, altro che!

Quindi, oltre ogni ragionevole dubbio, pare che la ragione sia la prima: il timore che i propri figli non vivano una vita dignitosa e piena. Tuttalpiù potremmo aggiungere che i figli, specie nei primi anni della loro vita, limitano fortemente il campo d’azione dei genitori, in un mondo dove è diventato d’obbligo dedicare ogni frammento di tempo alla propria sicurezza economica. Una volta era irrilevante, ma oggi abbiamo imparato che è essenziale dedicare tempo ai figli.

Servirebbe uno sforzo politico enorme per poter ridare fiducia (e tempo) alle persone affinché tornino a fare figli. Speriamo si faccia.

Ma ora che sappiamo perché le persone fanno meno figli, come rispondiamo a all’iniziale domanda di Amilcare sul chi pagherà pensioni, sanità, scuola, e ogni altro servizio sociale che, nel bene e nel male, esistono oggi.

Amilcare poneva l’ipotesi di usare le macchine come lavoratori (IA, robot, e quant’altro). In effetti le macchine sono ormai una realtà. Ne ho parlato tante volte facendo degli esempi e riportando anche dei video di come l’uomo venga sostituito ormai molto facilmente in svariate e complicatissime attività.

Mi chiedo, tuttavia, come mai Amilcare abbia subito pensato alle macchine e non invece a risolvere quelle incognite e certezze negative che ostacolano le coppie dal fare figli. E nemmeno, ad esempio, agli immigrati che arrivano in Occidente proprio per trovare una situazione lavorativa migliore, come facevano un tempo gli italiani altrove. Sono sicuro che l’ipotesi di Amilcare fosse solo retorica, per dire che dovremmo muoverci e risolvere i problemi con delle politiche che ridiano fiducia alle persone nel mettere al mondo i figli, in un posto più sicuro, dignitoso e vivibile.

L’ipotesi delle macchine come sostituzione e rimedio alla denatalità farebbe subito nascere quell'altro problema che denunciava sempre il nostro Amilcare: i lavoratori umani pagano le tasse; le macchine non le pagano. Saremmo così punto e a capo! Avremmo risolto il solo problema della produzione e sarebbe anche una produzione che costerebbe meno, perché le macchine non pagano tasse e non prendono nemmeno stipendi. Ma essendo solo lavoratori, chi consumerà quella produzione? Ennesimo problema! D’altra parte la produzione non può essere ridotta perché il modo in cui funzionano le economie di tutto il mondo prevede che si debba produrre sempre di più e crescere. Questo lo sappiamo tutti. Lo dicono continuamente al TG: il PIL deve crescere di anno in anno, altrimenti sono guai enormi (anche se nessuno capisce veramente il perché…).

Gli esseri umani sono consumatori oltreché lavoratori, mentre le macchine possono essere solo lavoratori. Dunque qui non è solo un problema di chi pagherà le tasse, ma anche di chi dovrà consumare la produzione di chiunque lavori e paghi (o meno) le tasse.

Servono necessariamente gli esseri umani!

Quindi fare figli o accogliere gli immigrati, o entrambe le cose. Si faccia come si vuole, ma servono umani. La logica della “crescita infinita” lo impone. Più si cresce, più si deve consumare. Non è solo un problema di tasse.

Bene. Supponiamo che da domani la politica inizi a lavorare seriamente per dare sicurezza ai cittadini e invogliarli così a parametri di natalità accettabili, che assicurino nuovi lavoratori e nuovi consumatori. A questo punto cosa rimarrebbe dell’ipotesi di Amilcare? Nulla. Abbiamo risolto tutto. Siamo tranquilli perché sappiamo che la popolazione crescerà nuovamente e ci sarà quindi chi potrà pagare le tasse per i servizi (a parte gli altri problemi dovuti al costante incremento demografico, che qui eviteremo di trattare). Ma Amilcare ha tirato in ballo le macchine: una verità incontestabile e un tema che rimane aperto e assai intrigante, nel continuare a far frullare in testa che le macchine possano sostituire l’uomo nel lavoro. Anzi: già lo fanno!

Le macchine esistenti, e quelle future, fanno parte di uno sforzo intellettuale e un’inventiva inarrestabili, nascenti dall’impegno filosofico e scientifico dell’uomo in tale settore. Il loro fine è palesemente quello di sostituire l’uomo nel lavoro, altrimenti a cos’altro servirebbero? A nulla. E che senso avrebbe tutta l’enorme ricerca per continuare a potenziarne il campo d’azione e inventarne sempre di più potenti e simili all’uomo stesso?

Non c’è dubbio: le macchine ci sono e vengono usate.

Ma così torniamo nuovamente al problema originale: chi paga le tasse se lavorano le macchine?

Proviamo a fare qualche esempio più o meno spassoso.

Mario, l’idraulico di Amilcare, compra dei pezzi su Alibibì, li assembla e realizza “Tubi”, l’idraulico robot che va a casa di Amilcare e gli sistema il lavandino. Amilcare paga Tubi, e Tubi ovviamente paga le tasse. In realtà le tasse le paga Mario, che è proprietario di Tubi. Mario non ha fatto nulla. Non ha nemmeno presentato la dichiarazione dei redditi, perché lo fa Fantacalc!, il sistema di IA esperto contabile di Mario (Tubi) e colleganza. Ma allora Mario che fa (e anche il suo “fu” contabile…)? Ma farà quello che vuole! Legge, passa il tempo con la famiglia, sta sul divano, guarda la tv, va in vacanza, fa sport, progetta il nuovo motore a curvatura che porterà l’uomo in giro per la galassia. E’ irrilevante in cosa sarà occupato Mario, egli intanto è sostenuto economicamente dal lavoro del suo Tubi. E Mario, ovviamente, continua a essere un contribuente e un consumatore che fa “girare l’economia”.

Se Mario non nascesse, l’esistenza di Tubi non avrebbe senso!

Per semplificare la vita a Mario potrebbe esserci una ditta che realizza automi su misura. Molto meglio, perché non sono tutti bravi come Mario a costruirsi un Tubi assemblando i pezzi acquistati su Alibibì.

Meno fantasiosa è invece la storia di Paolo. Di inventato c’è solo il nome, perché Paolo è stato realmente un informatico che per otto ore al giorno lavorava come analista in ambito di data warehouse, occupandosi di interrogare delle base dati e determinare i report più utili a una certa unità di business. Essendo anche un eccellente programmatore, Paolo iniziò a sviluppare una serie di procedure che riuscivano a fare il suo lavoro in maniera automatizzata e più efficiente, lasciando a lui l’onere di filtrare e convalidare i risultati, sicché la sua attività si ridusse a un paio d’ore alla settimana! Paolo non disse nulla alla società, interessata unicamente ai risultati, e continuò a percepire lo stipendio senza lavorare.

Col tempo le procedure che aveva sviluppato Paolo divennero popolari e centinaia di lavoratori vennero sostituiti da esse. Le aziende si accorsero che potevano risparmiare un sacco di soldi pagando un decimo del personale. Altri esempi sono come quelli della fabbrica Fiat poco distante dalla mia città, che dava lavoro a centinaia di persone. Poi vennero le macchine, che con bracci automatizzati facevano il lavoro di centinaia di persone in un decimo del tempo e costavano un centesimo dei loro stipendi. E così, decine di altre analoghe situazioni avvenute e in corso di conversione uomo-macchina.

State certamente afferrando il discorso.

I soldi di tutti questi stipendi risparmiati, e tasse non versate allo Stato finiscono nella tasche degli imprenditori. Perché, purtroppo, la storia fantastica di Mario l’idraulico, piuttosto che quella vera di Paolo l’informatico, non funzionano in direzione dei lavoratori, facendo in modo che ne possano beneficiare solo ed esclusivamente i lavoratori stessi (magari divenuti disoccupati), ma per adesso pare funzionare solo in direzione degli imprenditori, che possono così aumentare in maniera esponenziale i loro profitti. Oggi, più di tutti, li aumentano quelli che vendono i processi di automazione e l’intelligenza artificiale, quotando in maniera speculativa i sistemi alternativi all’uomo. Non sempre, ma in molti casi ci si appella alla sopravvalutazione dei costi di ricerca e sviluppo, come fanno le industrie farmaceutiche.

Come che sia, i soldi risparmiati rimangono solo in quell’ambito: tra chi usa l’automazione e chi la produce.

Quindi niente figli, niente lavoratori, e niente anche consumatori! Pertanto presto o tardi la produzione determinerà un surplus che diverrà insostenibile, mancando un margine di corrispettivo non pagato troppo alto, e finirà che gli imprenditori falliranno o guadagneranno di meno, molto di meno, perché saranno meno i consumatori. Una cosa del genere imporrebbe anche l’arresto della nostra economia a crescita costante. Oppure quelli che alcuni chiamano “reset”... ma nell’era delle macchine il ciclo di “reset” è diventato altrettanto improbabile.

Le conclusioni sono intuitive, ma vediamo di trarne un riassunto per rendere più intelligibile l’intera storia.

Se manteniamo il sistema economico così com’è, senza nessuna modifica, servirà sempre più gente che consumi ciò che viene prodotto in maniera altrettanto crescente. Quindi i figli si devono fare, o la gente deve comunque consumare da qualche parte nel mondo dove fanno figli. Una delle due, tutte e due, ma non nessuna delle due!

Se si devono fare figli agli aspiranti genitori va prospettato un mondo migliore, più sicuro, più accogliente, avviando a soluzioni credibili tutte quelle certezze negative sopra argomentate, e senza lasciare troppe incognite. E si capisce che va a farsi benedire l’equazione di mercato: cittadino insoddisfatto = consumatore insaziabile. Aumentando il livello di “felicità” dei cittadini bisogna poi pensare a nuove formule per farlo consumare (fatti loro!).

Essendoci le macchine, e non servendo più i cittadini come lavoratori, occorre trovare una soluzione per rendere tali cittadini produttivi negli altri campi dell’intelletto umano e delle arti in cui le macchine non possono ancora intervenire (e in alcuni casi non lo potranno mai).

Ma a chi rimane improduttivo a causa di un mestiere assorbito dalle macchine deve essere garantito un sostentamento economico dignitoso e alla pari di chiunque altro, altrimenti non sarebbe nemmeno un valido consumatore (e i consumatori ci servono!). Potremmo offrirgli l’opzione di sostituirsi lui a una macchina (sai che allegria, insieme a colleghi fatti di circuiti e altre diavolerie), oppure optare per pagarlo tramite l’algoritmo LHT.

L’algoritmo “LHT” (Like the Human Time, ovvero quanto tempo uomo servirebbe) me lo sono appena inventato per fare un esempio come tanti e capirci meglio. Qualunque macchina, sistema automatico, IA, che esegua un lavoro richiedente un certo LHT potrebbe essere tassata secondo quel parametro. Una tassa che include lo stipendio lordo di quelle ore LHT svolte dalla macchina, ma come se fossero svolte dall’uomo come avveniva prima. Il netto di tale stipendio verrà distribuito a tutti i cittadini che non lavorano a causa dell’essere stati sostituiti dalle macchine. Cittadini che dunque potranno, perlomeno, continuare a essere dei consumatori e contribuire al benessere sociale in tutti gli altri modi che la parola “lavoro” consente, dissociata dal compenso.

Direi di chiuderla qui (per ora). Sapete perché? Non finiremmo più di fare esempi e vedere soluzioni.

La buona notizia è che tutto si può risolvere, basta volerlo e ragionarci similmente a come abbiamo appena fatto. E’ la disarmante “semplicità” che si intendeva argomentare attraverso questo anomalo saggio. Noi il problema ce l’abbiamo sul serio, però, e anche se qui ci siamo “divertiti” (mica tanto…) dobbiamo capire altrettanto seriamente - e presto! - cosa vogliamo fare con questa economia mondiale del crescere infinito. Vogliamo lasciarla così? Vogliamo modificarla? Useremo le macchine, e in che modo? E come vediamo realmente questa faccenda delle nascite, delle tasse, dei consumatori, del lavoro inutile legato al compenso?

Tra i tanti problemi che ci distraggono, quello più vero e reale da cui discendono tutti gli altri si cela proprio dietro queste domande. Poniamocele ogni giorno; poniamole soprattutto agli altri, ai nostri politici, e pretendiamo soluzioni, non chiacchiere.

Base foto: Gerd Altmann (geralt) da Pixabay

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P. Giovanni Vullo

In questa navicella spaziale, vado in giro a fare scoperte. Provo a capire come funziona. E ve lo racconto.