Censura vs Comunicazione irragionevole

Censura vs Comunicazione irragionevole

La censura è un espediente abominevole. Fatti ed espressioni di qualunque genere meritano di esistere solo per la ragione che si sono in qualche modo prodotti o anche semplicemente pensati, e non necessariamente comunicati. Ancor più se lo sono stati e fanno parte della storia e dell’arte dell’uomo.

Quant’anche fossero cruenti e inaccettabili, contro ogni morale ed etica universale, la loro esistenza è necessaria anche per mantenere viva la riflessione sul più ricorrente degli interrogativi umani: perché accade? Perché, l’uomo, riesce a partorire idee o azioni di un certo tipo. E’ ciò che abbiamo sempre bisogno di chiederci, sebbene sia raro, oggi, trovarsi al cospetto di situazioni estreme. E’ più frequente, invece, osservare questioni che “urtano” minoranze o morali di gruppo, tutte riconducibili al concetto di “sensibilità”.

Esiste una sola eccezione: la tutela dei soggetti più fragili. Tale fragilità devo essere però concreta, scientificamente provata o quantomeno fortemente ipotizzabile. L’esempio più semplice è quello di certi tipi di contenuti espliciti (violenza, sesso, etc.) diversi da quelli educativi, e che i bambini non sono ancora in grado di elaborare correttamente e autonomamente a causa della loro immaturità. La sensibilità, invece, non è una condizione di fragilità.

Esiste poi l’educazione, il rispetto, il buon gusto, il soffocare e non alimentare certe follie e imprudenze umane. In altre parole: la ragionevolezza.

Talvolta si associa la censura alla ragionevolezza, e non c’è niente di più sbagliato. La censura vive in un contesto molto ristretto è inammissibile, che è quello di limitare la comunicazione del pensiero contemporaneo o storico, attraverso il quale si dispiegano idee e opere. Non ha invece senso invocarla nel contesto della comunicazione e interazione quotidiana tra soggetti, che qualora rappresentasse un disvalore può unicamente generare una comunicazione irragionevole, potendo anche configurare una violazione ai diritti fondamentali della persona (si pensi alla diffamazione, alla calunnia, che spesso si tentano di ancorare alla libertà di espressione, ma questa libertà trova il suo confine proprio nel non dover ledere la dignità umana: *punto fermo etico*).

La comunicazione irragionevole origina da opinioni non necessariamente giuste o sbagliate ma semplicemente negligenti. Essendo tali non sono pertinenti e possono ledere un bene della vita, come la dignità della persona, piuttosto che fomentare odio o disordini. Limitarsi nella comunicazione irragionevole non è dunque autocensura ma prudenza e saggezza. E tale limite, peraltro, non deve intendersi in senso assoluto ma estremamente relativo e contenuto nel tempo, e con delle modalità che possano comunque garantirne l’espressione (anche lesiva): inizialmente in uno spazio che la salvaguardi e, in futuro, se ancora ritenuta utile ai fini storici e di studio dai propri autori, senza restrizioni.

Dunque anche la comunicazione irragionevole può avere un suo scopo, che oggi magari non riusciamo a cogliere a causa di prudenze che riteniamo necessarie nel contesto presente, ma che domani potremmo comprendere diversamente e rimettere in discussione. Come è giusto che sia. Ed è un’attività molto soggettiva, poiché al di la’ di situazioni già codificate (come regole civili e penali, e pur sempre relative se non eticamente consolidate) la scelta di cosa comunicare e in che modo farlo – del limite, insommaè un’attività che non può essere demandata o controllata da soggetti terzi, poiché a tal punto si ricadrebbe in quel contesto di censura inammissibile, nonché di dubbio autoreferenziale sul “chi controlla il controllore”.

Avrete senza dubbio colto il mio pensiero: autoaccettazione e autocontrollo!

Serve volontà, coraggio, pratica, amor di pace, emozionalità, amore per la cultura, empatia, tutte qualità umane che può coltivare chiunque e con pieno successo, anche nel più limitato intelletto.

Facciamo anche un breve esempio.

In questi giorni circolano varie vignette satiriche sulla situazione in Iran, alcune anche di Charlie Hebdo. Le caricature sono ovviamente molte forti e intrise di “volgarità satirica”, e sappiamo bene che lo scopo precipuo della satira è quello di scuotere gli animi suscitando sorrisi amari, non per ridere ma constatare e fissare i fatti inaccettabili che si stanno verificando in Iran.

Come talvolta accade, la satira può sconfinare in note iperboliche che non la differenziano più dai conflitti in atto, e probabilmente rischiano di alimentarli. Perché, da un lato, il folle non comprende il messaggio; dall'altro, chi deve indignarsi per certe efferatezze riceve già una comunicazione di cronaca quotidiana da rendere oltremodo palesi le incivili crudeltà che stanno avvenendo in quel paese. Il “carico a briscola”, dunque, a cosa serve e a chi? Parrebbe un caso di comunicazione irragionevole, se si concordasse che il contesto attuale è così delicato, compromesso, ma anche già molto informato, che l’intervento della satira non apporta alcun particolare contributo. A questa perdita di funzione della satira, conseguirebbe un messaggio (le vignette) che diventa un mero sfogo triviale.

Non mi sembra così peregrina come considerazione.

Rispondere al fuoco con il fuoco ha certamente senso, ma quando la propria vita è a repentaglio e non si intravede via d’uscita. Non quando si ha la possibilità di essere terzi e intervenire con quanti più sforzi ed energie possibili per limitare danni e, auspicabilmente, lavorare a un capovolgimento della situazione. Sfottere il Khamenei, Putin, o qualche altro esaltato, può soltanto incancrenire il già precario equilibrio mentale di taluni, e quindi anche il “mero sfogo” diventa illogico. Altrimenti bisogna andare fino in fondo e recarsi sui luoghi a battersi!

Poi, se mi è permesso, vorrei aggiungere a chi pretende che ci sia qualcosa di esprimibile esente da limiti, che il limite è un elemento della natura e della conoscenza. Non esiste assenza di limite in nessuna cosa. O forse sulla stupidità umana... diceva Einstein.

Base foto: Michelangelo, affresco “Peccato originale e cacciata dal Paradiso terrestre” (1510), Cappella Sistina - Pubblico Dominio

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P. Giovanni Vullo

In questa navicella spaziale, vado in giro a fare scoperte. Provo a capire come funziona. E ve lo racconto.