Il welfare delle elemosine

Il welfare delle elemosine

Natale. Il periodo dell’anno più particolare per gli occidentali e i cattolici, che si perdono tra presepi e alberi di Natale; tra shopping e opere di bene.

Per i più sfortunati, la carità. O beneficienza, o elemosina, o come la volete chiamare. Oggi è spesso business; un modo per incrementare o consolidare la propria notorietà, e addirittura fare più soldi. Una volta la beneficenza si faceva in silenzio. Ma ora è crollato anche questo baluardo di discrezione, germe dell’antico imbarazzo di possedere fortune esagerate.

Lo “Spirito del Natale” rende tutti più buoni? Non è più così chiaro, visto che si è consolidata una componente che sfrutta la beneficenza per arricchirsi (ne parlai già in passato). Proviamo a parlare solo di chi può permetterselo senza quei secondi fini, e magari conservando anche l’antica abitudine del silenzio.

Perché lo fanno anche questi altri?

Evidentemente quel possedere di più permette loro di poter “regalare” qualcosa ad altri. C’è chi lo fa anche senza poterselo permettere, ma non parliamo di questi casi eventualmente da santificare.

Poterselo permettere significa fare qualcosa senza dover rinunciare ad altro. Deve essere questa la chiave del nostro ragionamento.

Anzitutto occorre riflettere sul concetto di “altro”, che è un campo molto ampio e astratto, perché viviamo in una società che non pone limiti, e quindi anche la persona più ricca del mondo potrebbe pensare che non se lo può permettere. Nelle sue ambizioni potrebbe esserci l’acquisto di tutte le terre vendibili del mondo. Perché no?

Era giusto per esasperare il concetto, ma dire, poi, che anche se limiti non ce ne sono nessuno pare avere pretese di potere/dominio così assurde. Tanto è vero che chi se la passa meglio regala periodicamente dei soldi. Decide, quindi, che qualunque sia la propria ambizione è necessario fare beneficenza. E non solo a Natale.

Questa gente, benestante, facoltosa, o ricca che sia, si pone quindi dei limiti. Ma il termine giusto è autolimite.

E’ un meccanismo mentale alquanto strano. Evoca quei discorsi che faccio spesso sull’etica e sul giusnaturalismo, la legge morale iscritta direttamente nei nostri geni, che impone impulsi di solidarietà e soccorso dei propri simili. Però qui non sarei così convinto che si tratti solo di questo, perché se così fosse chi dona deve denunciare una rinuncia, o quantomeno un rischio.

Qui non c’è né l’uno né l’altro, perché abbiamo detto che non è questa la nostra chiave d’indagine, e che non stiamo parlando di santi o buoni samaritani. Chi pratica l’autolimite non rinuncia né all’essenziale né al ragionevole superfluo, e nemmeno ad assicurarsi il futuro, che nell’insieme potremmo definire indice di benessere vitale. Quindi in effetti non si rinuncia a niente, e l’autolimite è solo l’estrarre il “ragionevole superfluo” dal proprio indice di benessere vitale. Che è soggettivo, ma evidentemente c’è!

Per esempio, uno come Bezos, Gates, Musk, Buffet, decide di donare 10 milioni di dollari ai senza tetto, e ha così regalato denaro che non sposta di una virgola il suo indice di benessere vitale. E se ne desse il doppio? Il triplo? Per mille volte tanto?

Per molti di noi, imprenditori, operai, professionisti, impiegati, di quelli che però se la passano bene e vivono dignitosamente e senza problemi, anche se uno di quei personaggi appena visti donasse 1000 volte tanto, giudicheremmo il suo indice di benessere vitale ancora assolutamente ottimale. E più si scende nella scala sociale dello stile di vita, dato dalle proprie possibilità economiche, e più quel moltiplicatore non apparirà esagerato. Si continuerà a dire che l’indice di benessere vitale è salvo e ben al riparo.

Infatti, se la persona che possedesse 150 miliardi di dollari annunciasse di donarne 149, rimarrebbe pur sempre con 1 miliardo di dollari. Una cifra che il 99,9% della popolazione mondiale non guadagnerà mai nella propria intera vita.

In genere si guadagna molto meno. Un millesimo di quel miliardo, quindi un solo milione di dollari. E anche quella persona fa beneficenza. E così un’altra che ne guadagna un decimo di milione. Tutti questi, pur facendo beneficenza, continuano a sentirsi tranquilli circa il loro indice di benessere vitale.

Ma quanto può essere variabile questo indice di benessere vitale?

In realtà è molto poco variabile, e dovremmo essere in grado di intuirlo facilmente dopo i nostri precedenti esempi e ragionamenti. Esiste evidentemente una cifra reddituale che fa sentire tranquilli e permette di individuare del superfluo da regalare. Se, per ipotesi, dicessimo che questa cifra può stare in un reddito annuale di 75.000 euro netti, nessuno, penso, potrebbe obiettare che da tale reddito non si possano erodere dei soldi per le donazioni. Difficile, e forse impossibile, che chi guadagna tale cifra dignitosa dica di non potersi permettere di donare nemmeno un euro. Non lo direbbe neanche se fosse vero!

Appare più che un ipotesi. Ed ecco allora che quell’indice di benessere vitale soggettivo diventa oggettivo, e si scopre poter stare dignitosamente e con soddisfazione all’interno di quel reddito annuo. Tutto ciò che va oltre fa parte dello scarto quadratico medio, più comunemente chiamato “deviazione standard”, e quindi abbiamo che chi guadagna 100.000 euro l’anno, non ne donerà certo 25 mila. E chi ne guadagna 1 milione, non ne dona 925 mila!

E allora di cosa stiamo parlando? Pare evidente che qualcosa non va: scopriamo un dato ragionevolmente oggettivo, ma che poi non funziona.

Non può certo esistere che l’indice di benessere vitale stia bene in quei 75 mila euro l’anno, ma via via che sale il proprio reddito aumenti smisuratamente anche la deviazione standard dell’indice di benessere stesso. Perché le cose sono due: o non è vero che l’indice oggettivo possa stare in quella cifra, o quando si sale si stanno sprecando e immobilizzando soldi, umiliando i destinatari con della mera elemosina! Così va chiamata la beneficenza che non si sta affatto curando di un conservativo indice di benessere - oggettivo - ed erode il proprio patrimonio/reddito di un insignificante zero virgola.

La riflessione non si esaurisce qui, ma per oggi devo fermarmi in maniera che si possa assimilare al meglio questa prima parte del ragionamento. Fin d’ora anticiperai solo una parte delle conclusioni.

Essenzialmente va rilevato che il sistema economico “senza limiti” pone sempre molti dubbi, e questi sono anche fronteggiabili con discorsi più originali e innovativi rispetto a quelli già noti in letteratura, pervenendo comunque alle stesse conclusioni. Tra queste, l’odierna riflessione lascia già intravedere il grave danno sociale della beneficenza, propensa ad amplificare sempre più le disuguaglianze attraverso un sistema libertario - implicitamente privatizzato - di welfare delle elemosine.

«Ti permetto di guadagnare di più, per aumentare di più la distanza tra te e la povertà, e fartelo ostentare con l’elemosina!»

Buon Natale di pace, amore… e riflessioni.

Base foto: “Povertà e denaro”, Vincent van Gogh (acquerello, 1883), Van Gogh Museum, Amsterdam

Commenta e interagisci
Vai all'articolo su Facebook
Vai all'articolo su Twitter
Scrivimi
Dona un caffè
La donazione fa giungere questi pensieri a più persone possibili.
Gli algoritmi di ricerca su internet, e quelli preferenziali dei social, non premiano cultura, pluralismo e contenuti utili e interessanti, ma fanno prevalere le banalità, le popolarità, l'intrattenimento, e la supremazia di informazioni mainstream promosse anche da incenti investimenti pubblicitari.
Questo progetto sarebbe invisibile senza costanti investimenti di autopromozione.
CONDIVIDENDO l'articolo e segnalando il sito e i profili social, contribuirai ancora meglio.

Pubblicato da

pgv-mini.jpg

P. Giovanni Vullo

In questa navicella spaziale, vado in giro a fare scoperte. Provo a capire come funziona. E ve lo racconto.