Cosa cela quel detto primitivo (non luogo comune) che sembra spiegare tutto ma che nessuno veramente comprende: «Nulla di peggio che seguire il gregge!». Sintesi di una famosa espressione di Seneca (ndr, per l’esteso vedi il “De vita beata”, dai Dialoghi di Seneca), ma ovviamente ne esistono varianti moderne infinite, ed è molto popolare anche tra i complottisti che paradossalmente sono l’esempio più cristallino di un gregge.
Ragioniamoci. E poi osserviamo l’unico modo per venirne fuori.
Ho sempre criticato gli individualisti, perché è chiaro che da soli non si combina niente: occorre cooperare. Ma li capisco alla stregua di me stesso. Se non si trovano altri individui con i quali cooperare lealmente, senza prevaricazione, per un bene comune, con eventuale leadership oneste che non creino improbabili capi e capetti, allora cadere nell’individualismo diventa una conseguenza e non certo un attitudine.
Poi ci sono gli individualisti per scelta. Se non ne hanno già l’attitudine (molto raro) diventano tali perché sono stati educati a far finta di cooperare in un mondo che invece compete. E’ la vita, mica colpa loro; anzi: colpa nostra! E si va avanti senza quartiere per conquistare obiettivi esclusivamente personali.
Ma prima di diventare individualisti (consapevoli), occorrerebbe diventare individui (consapevoli). E il problema è proprio questo: la rarità di incontrare l’individuo e non l’individualista!
Per capire meglio questa scioccante differenza dobbiamo osservare che l’individualista è fondamentalmente un egoista che tollera altri individualisti come lui, coi quali si associa al fine di raggiungere i suoi scopi personali. Dunque non serve essere degli individui con una propria personalità e capacità critica, ma basta appartenere a una massa acquisendo e ricalcando la personalità di quel collettivo. E’ tutto facile, preconfezionato, e non occorre alcuno sforzo intellettuale.
Di masse ne esistono tante. Non solo le associazioni formali di persone che perlomeno condividono con consapevolezza un tema o valore chiaro e ragionato (e v’è perfino inconsapevolezza in quei gruppi), ma un ammasso di gente di qualunque estrazione sociale e stile di vita che ha aderito acriticamente a un pensiero (spesso si intuisce che è “un pensiero giusto”, per educazione ricevuta e senza altre attività mentali e più raffinate), o ancora più spesso per fede a una figura che promuove quel pensiero stesso.
In genere, la leva più comune che rende l’individuo parte di una massa è il suo malessere. Condivide con gli altri i turbamenti che lo spiazzano e trovano conforto in spiegazioni o rimedi semplici. Egli li assorbe, evitando così l’onere di doverle ricercare autonomamente piuttosto che elaborare e validare le stesse proposte dalla massa. Ma ci sono molte altre leve; tranne quella che sarebbe più appropriata ad avviare un processo di consapevolezza della massa di cui si fa parte: con la propria individualità intellettuale e critica.
Non dobbiamo infine dimenticare che l’uomo è un animale sociale - come insegnava Aristotele - e ha un bisogno genetico di far parte di gruppi sociali attraverso i quali interagire e sentirsi protetto. Diventa dunque difficile per lui riuscire ad acquisire una piena autonomia individuale, perché ciò sarà causa inevitabile di attriti e frizioni con il proprio gruppo sociale. Se potesse esistere un gruppo di individui pienamente autonomi che riuscissero a interagire in completo rispetto delle rispettive individualità (diversità), allora non staremmo qui a discutere. Individui naturalmente consapevoli e culturalmente alla pari, oltreché aperti.
Tutto questo è davvero un male?
Penso di si. Se ci si “annulla” assimilandosi al pensiero di un qualunque gruppo sociale non può essere un bene, perché probabilmente non ci stiamo stimando e temiamo l’isolamento. Il bisogno di approvazione attraverso gli altri è tale da limitare la propria individualità (cfr: Alfred Adler).
Questo male si produce anche perché nell’inconscio si è consapevoli di un’inferiorità culturale funzionale e inconfessabile (non si ammette neanche sotto tortura). Non è sempre dipendente dall’essere più o meno intelligenti degli altri, ma principalmente dalle conoscenze che decidiamo di non acquisire, per ragioni di tempo o pigrizia. Ed è infatti il classico “complesso d’inferiorità” su cui Adler - uno dei tre padri della moderna psicologia - spese molte ricerche e studi.
E’ un male che nuoce all’intera società, perché viene così privata di individui e colmata di individualisti che diventano numeri nelle mani di pochi furbi o potenti ammaliatori; essi non perseguono certo il bene collettivo, ma quello proprio. Non faremo di tutta l’erba un fascio, ma per aver consapevolezza e voce in capitolo serve quella capacità di critica - e coraggio di farla - per convalidare o invalidare le proprie appartenenze. Quindi è soprattutto autocritica.
Sembra facile da qui in poi, perché basterebbe perseguire l’istruzione in maniera costante e per l’intera vita, trovando poi quel coraggio. Ma sappiamo che è molto più complicato proprio perché non si ammette di essere poco istruiti e privi di coraggio; al netto di coloro che hanno perso anche l’occasione di provarci, perché l’età e il vissuto li ha resi coriacei, devoti alla loro fede ed ermetici a qualunque forma di introspezione, incapaci di comprendere quello che leggono qui o altrove.
Leggere… ma cosa?
Intanto imparare a leggere bene. Comprendere le sfumature linguistiche e i suoi inghippi subliminali e demagogici di certa retorica; coglierne le emozioni soprattutto implicite, senza mai dimenticare il contesto argomentativo e temporale. Appropriarsi di una profonda capacità nella comprensione del testo, che spesso vuol dire soffermarsi su piccole frasi e parole riflettendo bene su cosa tenta di comunicare l’autore, specie in lingue forbite e complesse come quella italiana.
E poi partire dalle letture corrette. Non da saggi contemporanei troppo semplificati. Per esempio, leggere Salvini o Vannacci fin da subito non va bene; e non va bene nemmeno affrontare di petto altri contemporanei molto più illustri come Eco, Chomsky, Galimberti, Fromm, Bauman, e tanti altri. Queste letture si devono inquadrare come testi da master universitario, specie quelli dei due politici sopra citati. Esagero solo per porre l’accento sulle necessità propedeutiche a tali letture. Spesso in due righe si può celare un sapere immenso - positivo o negativo - e se non si possiede una conoscenza di base su quel sapere non sarà possibile approfondirle e interpretarle. E in tal modo si aderirebbe all’intepretazione della massa a cui si è deciso di appartenere.
Occorre partire da un bagaglio culturale più elementare, come l’aver letto e compreso per bene l’antica filosofia greca, la saggistica storica, le opere degli autori più importanti attraverso i grandi classici, e tutto ciò che sembra difficile e impegnativo, ma che al contrario non lo è; descrive invece il mondo nella sua prima fase progettuale ed evolutiva, i primi grandi interrogativi e il tentativo di rispondere ad essi, nel tumultuoso percorso dell’animo umano che ha infine formato i tasselli elementari della sua cultura.
E solo dopo aver ben allineato e allenato la mente si può accedere alle opere moderne, alla saggistica di ogni tipo, e comprenderne il significato autentico nelle sue sintesi e oltre le righe.
Diventare individui è possibile, serve solo volontà e attenzione a non scadere nell’individualismo delle masse.
base foto: “La morte di Seneca”, artista ignoto, (olio su tela, 1612-1615). copia successiva di Peter Paul Rubens (1577-1640). Museo Nazionale di Stoccolma, Svezia - CC 4.0, https://commons.wikimedia.org/wiki/User:Neuroforever
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