Questa è certamente la frase più celebre di Gandhi, e mi è molto cara:
Sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo.
È straordinariamente potente e sono certo che anche voi ne riuscite a cogliere la platealità del significato. Però, pur apprezzandola noi tutti, condividendola e sapendo benissimo che il mondo non potrebbe mai cambiare se ciascuno di noi rimane uguale, è difficilissimo adottare quel comportamento: “essere noi il cambiamento…”, affinché tutto cambi insieme a noi.
Fin quando si tratta di leggerla e condividerla va tutto bene; praticarla è davvero un altro discorso. Scatta quel pensiero: «E perché io per primo…? Inizi a cambiare qualcun altro!».
Può essere per qualunque banalità, come cessare dall'oggi al domani di gettare cartacce a terra, tanto c'è il servizio di spazzamento; oppure non occupare mai più un posto per disabili, anche solo per un attimo; evitare di alzare il volume dello stereo mentre il vicino dorme dopo il turno di notte. Poi ci sono questioni molto più serie e davvero difficili da seguire, come il diventare profondamente onesti e prendersi sempre le proprie responsabilità.
Ed è costantemente quello il problema: perché farlo a prescindere dagli altri?
Anche noi, in tante altre cose, siamo disturbati o vessati per comportamenti sbagliati che gli altri non sembrano proprio voler cambiare.
Gandhi non la pensava così. E cambiò per primo senza badare a cosa volessero fare gli altri. E diventò il padre della non violenza liberando il suo paese dal colonizzatore britannico armato fino ai denti. Le armi non servirono a niente!
Se lui ha potuto fare qualcosa di così grande, se è stato l'ispirazione del suo popolo e di personalità come Martin Luther King, Mandela, Suu Kiy, se ha potuto tramandarci questa sua potente frase, allora noi possiamo fare qualcosa di almeno molto più piccolo: iniziare con modesti cambiamenti quotidiani nel rispetto dei nostri simili e del bene pubblico.
E non ci curiamo di cosa faranno gli altri. Noi… cambiamo lo stesso!
Base foto: Gandhi durante una visita a Roma, nel 1931
Gli algoritmi di ricerca su internet, e quelli preferenziali dei social, non premiano cultura, pluralismo e contenuti utili e interessanti, ma fanno prevalere le banalità, le popolarità, l'intrattenimento, e la supremazia di informazioni mainstream promosse anche da incenti investimenti pubblicitari.
Questo progetto sarebbe invisibile senza costanti investimenti di autopromozione.
CONDIVIDENDO l'articolo e segnalando il sito e i profili social, contribuirai ancora meglio.