Ho questo pezzo fermo da un paio di giorni, indeciso se pubblicarlo o meno. Facendolo prendo un impegno molto gravoso, e sono abituato a tenere una fede sacra negli impegni che prendo. Perciò non è stato facile. Leggetelo fino in fondo, potrebbe risultare utile a molti.
Devo ringraziare Domenico Dolce, siciliano come me. Lo dico benché “colpito” dalle sue recenti esternazioni. Anzi, proprio per questo. Poteva essere chiunque altro, ma pare sia toccato a questo famoso stilista il trasportare al mio vaso quella fatidica goccia che lo fa traboccare, e sprona definitivamente a quell’impegno che rimuginavo da qualche mese. Frenato anche dalla complessità di una questione molto semplice (badate all’ossimoro).
Sullo stilista in questione la notizia risulta ormai nota quanto lo è la popolarità del personaggio. Nel mirino ci sono ancora loro: i giovani! Non importa di quale area geografica; oggi è toccato ai giovani siciliani per puro caso, e in particolare quelli del suo paese. L’oratoria iniziava presso la sua fondazione “P.G. 5 cuori” lamentandosi del fatto che nessun giovane si facesse vedere a “far servizio” presso la fondazione stessa. Non precisava nulla in merito, ma continuava così:
Come fa un padre a stare sdraiato sul divano, col figlio che lo guarda che non lavora… che insegnamento dà a un figlio?
E’ [incomprensibile] di demenza, ignoranza e di inciviltà. Tutti c’hanno Facebook… ma vai a lavorare! Cosa c**zo fai un giorno intero su Facebook.
Qui a Polizzi danno la colpa a me, che non faccio niente per loro. Aiutati che Dio ti aiuta: fate le copertine ricamate, fate i fagioli badda, fate i nocciolini, fate… niente! Immobili.
Sai cosa si aspettano da me? Che io arrivi con una bella borsa, piena di buste piene di soldi, e faccio volantinaggio.
(dal video pubblicato su “la Repubblica”, 14/08/2023)
Naturalmente non starei a guardare il pelo sulla dizione, il pensiero possiede comunque una forza semantica inequivocabile. Tra il colpire i padri dei giovani, i giovani stessi, e distribuire a entrambi preziosi consigli sul darsi da fare, la comunità viene messa sull’attenti e scossa dall’ennesima abusata narrativa nonché invettiva nazional-popolare: «Fannulloni! Andate a lavorare!». Tanto cara anche a questo governo.
Va bene. Allora vorrei provare a dare anch'io una mano a questi “fannulloni”, giovani e meno giovani, vessati fino alla nausea dalla fenomenale narrativa del “sacrificio”. Una mano diversa da quella che avrebbe in mente lo stilista Dolce. Molto più silenziosa, ponderale, e nel pudore dell’anonimato al quale mancano casse di risonanza. Vediamo dove arriviamo; laddove pare nessun altro si sia ancora deciso ad andare.
Mi preme un'ultima considerazione ancora. Sia chiaro che nessuna idea o aiuto sarebbero necessari se si rendesse la propria testa un sistema efficiente. Non lo è per molti; i “fannulloni” non sono colpevoli di essere tali, ma di sicuro molti di loro vivono in uno stato di peccaminosa ignoranza, perché si potrebbero affrancare da tale condizione (gratuitamente!) e provvedere autonomamente a fornire risposte alle invettive e vessazioni che la società malata gli scaglia addosso quotidianamente.
Questa critica non è certo un giudizio generalizzato, assoluto e definitivo, come molti VIP, e non, hanno il vizio di fare. E’ chiaro che ciascuna vita è imperscrutabile da parte di chi non la vive e ne percorre con quelle stesse scarpe l’intero cammino. E dunque non sarò io, peraltro con tutti i miei smisurati limiti, a condannare in via definitiva chi non riesce a trovare il tempo, il modo, la voglia, per fare un percorso culturale di emancipazione.
A questi “fannulloni” non proverò a fare improbabili lezioni (da ambo le parti). Ma posso fare un’altra cosa. Posso confezionare un ricorso giudiziale tramite il quale potranno tornare a fare i “fannulloni”, e vantarsene anche: dispetto per dispetto! A partire dalle 160 mila famiglie esodate dal Reddito di Cittadinanza, e finire con quelle che si aggiungeranno mese dopo mese, per un totale - si dice - di circa 400 mila nuclei che lo Stato ha deciso di abbandonare a loro stessi (in quanto “fannulloni”, non dimentichiamolo…).
Avrà successo? Impossibile dirlo. Come annunciato è soluzione molto difficile a un problema molto semplice (e badate nuovamente all’ossimoro). Ci proveremo ugualmente a ripristinare le candidature al “divanismo”, come risposta a una dialettica inaccettabile che vuol imporre pensieri in antitesi all’etica. Una pratica di buon esempio per passare dalle usuali critiche e riflessioni a un po’ di sana azione e fattiva solidarietà, nel mare magnum di invettive.
Chi farà il ricorso potrà sperare di riavere il sussidio. Naturalmente sarà tutto gratuito, anche in caso di soccombenza. I cittadini a cui è stato sottratto il necessario per vivere non dovranno temere o sostenere alcuna spesa. Dovranno però attivarsi, trovare un avvocato, anche tramite associazione di tutela - che pagherà lo Stato - disposto a rappresentarli nel giudizio.
Ci vorrà un po’ di tempo. Un’attività del genere è davvero complessa nel nostro sistema giuridico, ma si proverà ad accorciare i tempi il più possibile per rendere comunque l’azione sufficientemente forte e convincente. Verrà pubblicato un apposito articolo con tutte le informazioni e con allegato il ricorso che si potrà, sic et simpliciter, portare dal proprio avvocato. Il professionista non avrà problemi a rilevarne il fumus boni iuris, ossia la parvenza di buon diritto, farlo proprio e conferirgli personalità in pochissime battute.
Occorre anche apertura mentale e umana che possa far superare ogni eventuale ego ipertrofico, altrimenti ci vorranno davvero secoli prima di fare il più banale passo verso un mondo più equo. Un aforisma di Platone si compone così: «Chi commette un’ingiustizia è sempre più infelice di quello che la subisce», che è compendio di un lavoro molto più accurato e profondo nel suo elogio dell’ingiustizia, da “La Repubblica”.
base foto: CDD20 da Pixabay
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