Dopo l’introduzione sulle riforme e una veloce analisi sulla loro impellenza, passiamo ora al tema di una delle riforme più importanti che dovrebbero preoccuparci, ma di cui non parla mai nessuno.
Per fare le riforme occorre prima parlarne, e il compito di farlo è naturalmente dei politici. Il cittadino è soggetto passivo, ascoltatore, e agisce sulla base di ciò che riesce a capire. Un agire importante che si può esprimere con il voto alla parte politica convincente.
Una percentuale tremenda di cittadini viene convinta con discorsi banali, idee fantasiose e irrealizzabili, semplici proclami, grazie alla diffusa incapacità di seguire e comprendere discorsi più articolati, informati e completi. Delle tesi, insomma, in luogo di opinioni sempliciotte e demagogiche. Ma se io affermassi soltanto questa cosa sarei molto irrispettoso verso qualche lettore, a meno che non sia una cosiddetta “nozione di comune esperienza”. Diversamente, per evitare sonore bocciature, farei bene a provare quel che affermo con dei dati precisi.
Lo farò tra un attimo. Prima chiariamo meglio questa nozione, che va intesa in un contesto di conoscenze assodate e padroneggiate dalla collettività, in maniera così radicale e certa da rappresentare ormai dei fatti che non richiedono più alcuna prova sacramentale. Per esempio, se adesso affermassi brutalmente che in Italia c’è molta corruzione politica, il nepotismo e le raccomandazioni dilagano, e gli impiegati pubblici sono le categorie di lavoratori più privilegiati, non penso che sia necessario fornire prove. E’ un fatto che ormai costituisce quella nozione di comune esperienza di cui parliamo.
Tuttavia, molti abusano di questa nozione; e ancora più spesso viene manipolata. Uno dei modi è quello di diffondere in maniera continua, martellante, e per lungo tempo, una notizia falsa o poco rilevante: priva di contesto e dati all’origine, oppure sorretta da casi isolati, ma divenuta ugualmente familiare come un meme, sicché ritenuta sempre esistita, vera, e inconfutabile, nonché rilevante.
Quindi, tra l’abuso e la manipolazione mediatica, l’atteggiamento più saggio sarebbe quello di diffidare sempre e riflettere prima di accettare un fatto come esperienza consolidata che non necessita contestualizzazioni e prove.
Torniamo alla mia affermazione iniziale. Ritenete che io debba provare l’incapacità delle persone a seguire e comprendere discorsi come quello che sto facendo adesso? Del resto, sto solo parlando di “analfabetismo funzionale”, una locuzione ormai molto nota e accettata come fatto che non dovrebbe richiedere dimostrazioni. Può essere. Ma non è davvero così noto e compreso; è ancora allo stadio del “sentito dire”, perché il tema dell'analfabetismo funzionale è venuto alla ribalta pubblica solo da qualche anno.
Per essere intellettualmente onesto e certo che chi legge possa arrivare facilmente ai dati che sto usando, senza necessità di citarli (tornerei a limitarmi alla nozione d’esperienza), dovrei perlomeno accertarmi che Google - sistema di ricerca ormai planetario - presenti facilmente le risorse tecniche, e non articoli di giornale o altre opinioni, a supporto della mia tesi con la semplice ricerca della parola chiave dell’argomento. Questo è più semplice per un libro, un autore, uno studio specifico, ma non per la mia accusa sull’analfabetismo funzionale. Potrei rimediare con una serie di inferenze logiche, ma se ci sono i dati farei sempre prima a indicarli. Perché girarci attorno?
Però io sono un semplice cittadino come voi, che prova a riflettere su temi d’interesse ma possiede anche un tempo (purtroppo) limitato, per queste attività di scambio culturale. Quindi potrei nuovamente tornare ad appellarmi alla questione dell’esperienza consolidata, limitarmi ad essa, e chiedervi cortesemente e implicitamente di sforzarvi anche voi nell’approfondire autonomamente. O invitarvi a farmi delle domande, laddove qualcosa non vi tornasse.
Io, voi. Ma non un politico. Senza voler anticipare nulla.
Però stavolta faccio di più, così chiudiamo anche questo lungo preambolo: il punto di partenza sintetico sull’analfabetismo funzionale, dati inclusi, lo trovate anche su Wikipedia, e confermerà il mio addebito: molti amano discorsi semplici e fantasiosi che confermano le loro tesi sballate, e per contro non capiranno nemmeno questo testo.
L’Italia, come vedete, è al primo posto di quelle sciagurate classifiche, secondo due studi, e al quarto posto secondo un altro. I politici parlano soprattutto a queste persone. Tutti gli altri si dividono tra chi cade nello sconforto e si estranea dalla vita politica del paese, e chi prova a dare credito, magari per convenienza, ai proclami demagogici diffusi nell’etere.
Cosa accadrebbe se i politici avessero l’obbligo di giustificare e spiegare le loro idee e interventi (campagne elettorali e azioni di governo) prospettandole al cittadino in forma di tesi e non di semplici opinioni politiche?
Le tesi, a differenza delle opinioni in cui si può dire di tutto senza dover particolareggiare nulla, necessitano appunto di un ragionamento coerente e completo che porti a una conclusione molto precisa e inequivocabile. Le fonti, in termini di dati, sono obbligate solo quando la tesi è orientata a compiere delle scelte tramite la sua formale applicazione. Eventualità che riguarderebbe tutte le tesi politiche, essendo tutte destinate all’applicazione concreta.
Quel che accadrebbe sarebbe sconvolgente per i politici. Per esempio, non sarebbe più possibile dire una cosa astrattamente vera come: «Abbassiamo le tasse alle imprese perché così assumeranno», senza poi presentare ai cittadini lo studio, le modalità, e soprattutto i dati di previsione numerica, che confortino tale scelta; e ancor prima il ragionamento logico e coerente che ha portato a giustificare il conseguente studio. La “prova ed errore” non esiste nella gestione della cosa pubblica, ma va applicata rigidamente la competenza, la scienza, lo scrupolo maniacale nella valutazione di tutte le possibilità umanamente prevedibili e messe nero su bianco, prima di dire: «Questa è la scelta giusta!».
Sarebbe sconvolgente perché le tesi sbagliate avrebbero l’effetto di dimostrare in maniera intellegibile l’eventuale incapacità politica, amplificando in maniera esagerata la possibilità di uscire definitivamente di scena dopo aver attuato un certo numero di tesi che si dimostrassero fallimentari rispetto al carattere fondante e alle relative previsioni.
Invece, oggi, le promesse e le azioni si basano su un’attività comunicativa senza regole, irresponsabile e con i limiti fin qui esposti; mentre l’attività dibattimentale e scritta non può essere umanamente seguita dal cittadino medio (lavori preparatori, di commissione, parlamentare, etc.). Dunque è difficile sbugiardare del tutto gli incapaci di turno, e quasi impossibile identificare le responsabilità. E’ anche grazie a questo che un numero impressionante di incapaci siede sugli scranni del potere da diversi lustri, e avendo già compiuto danni incalcolabili.
Riformare la comunicazione politica significa dunque obbligare i politici a presentare programmi dettagliati e sostenere dibattiti e confronti senza poter schivare richieste di elementi e dati quando contestano le idee politiche altrui, o quando vengono viceversa contestati. Significa l’obbligo governativo di produrre tesi divulgative ma approfondite di ogni elemento per il cittadino comune, ogni qualvolta si compie una scelta che il governo di turno vara definitivamente come norma. Solo in tal modo il cittadino potrà ragionare e criticare più agevolmente e puntualmente le scelte compiute, ex post, senza essere subissato dai fronti pro e contro che scatenano guerre insopportabili e impossibili da seguire. Come impossibile sarebbe il seguire la complessa attività politica che porta al varo di una norma.
Significa, insomma, facilitazione e trasparenza reale.
Fin qui avevo evitato di usare il termine “trasparenza”, perché talmente abusato da essere divenuto insipido nei suoi significati autentici. Ma è di questo che stiamo parlando. Peraltro non era possibile farlo senza prestare attenzione a ciò che dovremmo intendere per “trasparenza” nel contesto della comunicazione politica e della sua ormai indifferibile riforma.
Anche questa terza parte si conclude qui, e se gradite ci diamo appuntamento al prossimo intervento su questo filone tematico.
Vai al capitolo successivo "Giustizia intelligibile"
Base foto: DALL-E (IA), su input “Riforme e società stile Banksy”, 24/04/2023
Gli algoritmi di ricerca su internet, e quelli preferenziali dei social, non premiano cultura, pluralismo e contenuti utili e interessanti, ma fanno prevalere le banalità, le popolarità, l'intrattenimento, e la supremazia di informazioni mainstream promosse anche da incenti investimenti pubblicitari.
Questo progetto sarebbe invisibile senza costanti investimenti di autopromozione.
CONDIVIDENDO l'articolo e segnalando il sito e i profili social, contribuirai ancora meglio.