Non smettere di pensare!

Non smettere di pensare!

Rendersi la vita più facile e appagante è possibile anche quando si hanno prove complesse da affrontare, e persino nelle situazioni più dure. Bisogna solo pensare senza smettere di analizzare gioie e difficoltà, ponendosi continuamente domande e cercando le relative risposte. Con tenace caparbietà.

Siamo sempre stati dei pensatori. Sarà perché questa pratica ha determinato aspetti positivi e utili per l’umanità. Osserviamo che tutto il progresso e la prosperità provengono proprio da questa attività: pensare! Viceversa, non pensare, o farlo poco, farlo superficialmente, con insofferenza, ignavia, svogliatezza, egoismo, non sembra aver mai prodotto benefici sociali o personali, reali e duraturi. Anzi, spesso disastri. Per dire: si può pensare a come fare il colpo del secolo, persino riuscirci, e poi accorgersi che non basta, e che bisogna pensare a come proteggere il maltolto e sé stessi.

Questa forma alternativa di pensiero non può essere considerata pensiero. E’ anti-pensiero, perché non va incontro a soluzioni accettabili e durature per il gruppo sociale di cui si fa parte, ma tipicamente provvisorie, instabili, per sé o per un più ristretto sottogruppo disintegrato dal resto. La criminalità, ad esempio, pensa benissimo per sé ma danneggia gravemente chiunque ne sia estraneo, e manca di una prospettiva di costante successo e mantenimento essendo anche conflittuale per sua natura. Dunque, in fin dei conti, non è vincente nemmeno per sé stessi.

Non lo sarebbe nemmeno una forma di governo o un sistema economico pensato per creare disuguaglianze, ovvero non pensato per evitarle. E ne osserviamo gli effetti proprio ai nostri tempi.

Quindi dobbiamo dedurre che l’unica forma di pensiero valida è quella che determina fattori vincenti per tutti: per sé e per l’ambiente dove si vive. E’ solo qui che abbiamo avuto progresso e prosperità, dunque si può definire pensiero etico. Se ci è chiaro che i principi dell'etica tendono tutti a essere vincenti.

I nostri avi hanno pensato quantità di cose vincenti perché ne avevano il tempo. Non è cosa da poco, il tempo. Lo trovavano tra le maglie della quotidianità, fatta spesso di difficoltà enormi e considerevoli sacrifici. Coloro che hanno lasciato il segno non erano persone soltanto intelligenti ma soggetti che si sono anche adeguatamente formati dedicando il giusto spazio alla comprensione delle cose, alla conoscenza, ai libri. E i libri erano più o meno l’unica distrazione, assieme al confronto e ai lenti scambi epistolari.

Tutte cose lente, calme, che lasciavano tanto tempo per pensare. Non si sta tutto il giorno in mano con un libro, né con la penna per scrivere a qualcuno, o parlare di cose interessanti. Si pensava a cosa leggere, di cosa scrivere, e di cosa si era discusso per poi riprenderne nuovamente il filo. Non è mai esistita l’ossessione del pensare, ma il giusto spazio per poterlo fare. Era più facile osservare e criticare la propria vita, le difficoltà, i modelli e gli stili che li determinano.

Bene o male, con prove ed errori, siamo giunti qui.

Ora non ci sono più solo libri, lenta comunicazione epistolare, agorà sociali per confrontare i pensieri. Molto di questo tempo è stato assorbito dall’uso passivo di mezzi di comunicazione, attraverso i quali vengono ricevuti messaggi, massicce informazioni e intrattenimento, e con i quali non ci si può confrontare. Ne siamo consumatori senza tregua.

Un tempo, difficilmente si vedeva un operaio in pausa prendere un libro per trascorrere il suo intervallo; tantomeno accade oggi. Ma oggi quella pausa è impiegata quasi sempre per consumare informazione passiva, scorrendo - ad esempio - la streamline dei social preferiti alla ricerca di un qualcosa di gradito. Oggi quell’operaio difficilmente ha spazio per condividere o confidare qualcosa a un collega, e certamente non può averne per pensare. Ciò avviene più o meno in qualunque contesto sociale e lavorativo.

La giornata - non solo dell’operaio ma di chiunque - inizia e finisce ricevendo informazioni e intrattenimento in maniera incessante, ricercandoli spasmodicamente e senza soffermarsi su nulla per esaminarlo in maniera critica e accurata, ma solo per attimi utili ad approvare o disapprovare sulla base di ciò che - altrettanto acriticamente - si è già installato nella propria mente attraverso il medesimo processo a spirale infinita. Naturalmente non si pensa nemmeno a sé stessi, determinando e criticando il proprio stile di vita con le cose che si hanno e si vorrebbero, ponendosi anche il problema del confronto attraverso spazi e tempi che non si hanno più.

E così abbiamo smesso di pensare!

Al massimo, si consuma il pensiero altrui. Senza tuttavia averlo correttamente compreso o essere in grado di criticarlo seriamente.

E' un problema unico nel suo genere. Come umanità non abbiamo mai sperimentato questa atrofia del pensare, e non sappiamo dove può condurci. Possiamo però ipotizzarlo in maniera molto verosimile, se consideriamo quanto detto prima sul prodursi dell’evoluzione, del progresso, della crescita personale, determinati unicamente dal pensare. E tale assenza, allora, prospetterebbe uno scenario molto inquietante, se non drammatico.

Tuttavia basta poco per invertire questo processo. Davvero molto poco.

Non sono tra quelli che consiglierebbero mai: «Molla lo smartphone… spegni la TV… lascia perdere i social… guardi troppe serie… parli troppo di calcio…» e cose del genere. Io vi consiglio solo, pregandovi con il cuore in mano, di trovare almeno un’ora di tempo al giorno per tornare a pensare con lentezza e accuratezza, come si faceva un tempo. Nemmeno un’ora di fila, ma che sia alla fine un’ora piena!

Pensiamo a ciò che si legge sui social. Magari riponiamo un momento quell’arnese e facciamo una passeggiata, anche in casa o sul tapis roulant (che fa anche bene alla salute) e ragioniamo su quello che ci è passato davanti. Riflettiamoci interiormente in maniera molto accurata, e poi confrontiamoci con gli altri (se possibile). E così con la tv e ogni altro mezzo che utilizziamo passivamente. Ancora più spesso, pensiamo a come stiamo vivendo e come possiamo farlo meglio: per noi stessi e con gli altri.

In questo modo avremo davvero massimizzato utilmente le comodità tecnologiche e gli spazi ludici della nostra modernità. Agiata, splendida e piena di stimoli, sotto questi aspetti. Stimoli che forniscono un formidabile propellente per il pensiero.

Restiamo saldamente collegati con i nostri problemi. Riflettiamo sulle difficoltà in modo corretto e per il tempo necessario. A volte quell’ora al giorno potrebbe non bastare, rendiamocene conto e pensiamo ancora di più. Pensare non fa male! Fa invece male riversare sul consumo compulsivo di prodotti e intrattenimento ogni più piccola difficoltà, accorgendosi che non riescono mai a risolvere nulla ma generano costante e impalpabile insoddisfazione, con inquietudine interiore e perenne disagio.

Si pensa molto poco anche sul lavoro, seguendo per lo più procedure, stili, best practices - dicono gli inglesi - e modelli già ben collaudati. Persino la ricerca ristagna su poche cose che favoriscono interessi di mercato, e ben poco le esigenze di prospettiva ed evoluzione umana.

La disabitudine al pensare sta provocando anche un’altra grave anomalia: incapacità di recuperare la stanchezza mentale. Qui non dovuto al pensare, ma paradossalmente legato all’assenza di questa attività, e probabilmente all’anti-pensiero di cui parlavamo prima, al quale si ricorrere come scorciatoia impropria e dannosa.

Il pensiero ha naturalmente tante forme. Quello svilente e pericoloso, da cui tenersi ben distanti, riguarda il pensiero rimuginante preda del chiacchiericcio interiore, di cui ho parlato in un passato articolo 1. Il pensiero deve essere sempre analitico, focalizzato su quello che interessa, possibilmente distaccato dal problema se si trattasse di una difficoltà personale, affrontandola come degli osservatori esterni.

Ma torniamo a pensare, per favore!

Facciamolo, anche gradualmente e con vicendevole aiuto, possibilmente ricercato, ma facciamolo bene. Vedremo aprirsi nuovi interessi, necessità di comprendere e approfondire, voglia di riprendere in mano la vita, capacità di trarre il bene dalle continue seccature e ostacoli che parrebbero ammorbare l’esistenza. Perché la vità è in fondo questo spettacolo pieno di problemi da risolvere, per avanzare alla sua prossima scena.

Naturalmente è molto meglio porsi il problema di guardare il sasso è chiedersi perché è un sasso, piuttosto che ragionare del sasso che qualcuno ha scagliato contro la finestra. Ma non si può credere di poter “filosofare” di un problema non proprio, se già si fugge nell’etere delle distrazioni per non affrontare i propri e quelli più prossimi.

E poi… ricordiamoci di pensare anche ai sogni: realizzandoli!

base foto: Elioenai Martin da Pixabay


  1. "La coscienza e il chiacchiericcio", disponibile su fai.infomrazione.it cliccando sul link. Il contenuto verrà presto archiviato anche qui. 

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P. Giovanni Vullo

In questa navicella spaziale, vado in giro a fare scoperte. Provo a capire come funziona. E ve lo racconto.