Questa è l’epoca dell’uomo galleggiante, che calza a pennello nella narrativa del “sacrificio”. Una società ambigua: tecnologicamente forte e all’avanguardia ma dall’etica assai opacizzata nelle sue morali deboli, spesso integraliste e a comparti stagni. Tra mille peripezie, tutti cercano di rimanere a galla in quello specchio d’acqua che permette di fruire delle innumerevoli cose belle che indubbiamente offre la società, pescando qua e là alla deriva di questo mare reso burrascoso dalla sua ambiguità.
E’ un mare veramente burrascoso (più calmo del passato, però).
Lo sappiamo tutti quanto sia necessario faticare per rimanere a galla e “pescare” queste belle cose. Tra tutte ci sono le proprie passioni, aspirazioni, desideri di conquistare quello spazio in cui potersi esprimere e sentirsi appagati. Sarebbe un diritto di tutti, ma c’è ancora molto lavoro da fare per poter assestare la società e riuscire a garantirlo davvero a tutti.
Da qui a tollerare il “galleggiamento” ce ne corre. La fatica spesso non consente di arrivare a nulla; quindi doversi - appunto - accontentare di galleggiare apparirebbe intollerabile. Ma pare che molti si accontentino lo stesso. La fatica di conquista diventa una fatica per resistere e vivere alla meglio.
Ma pure per galleggiare occorre qualcosa di solido che permetta di stare su questo specchio d’acqua anche “quando la sua furia diventa grande e la sua onda è un gigante”, parafrasando il grande Pierangelo Bertoli. Altrimenti si va giù molto velocemente.
In Occidente si parte dai primissimi anni di scuola, da teneri e innocenti virgulti che imitano e seguono esempi, fin poi ad arrivare al confronto sociale e occupazionale che forgia definitivamente la capacità di affrontare e gestire i contrattempi. Ogni volta che si presenta un ostacolo, il modo in cui questo si affronta e risolve permette di selezionare le assi migliori - più solide! - per costruire la nostra barchetta.
Qui emerge il primo e più gravoso corollario: poiché la nostra società è eticamente debole, galleggiare su di essa in maniera sicura implica l’uniformarsi a questa debolezza. Fatto ciò, si hanno ottime garanzie di potersi approvvigionare di assi robuste, e perfino costruirsi uno yacht o il più opulento panfilo che si possa immaginare. Altro che barchetta per galleggiare!
Ma è davvero l’unico modo? No. E’ solo il modo più facile, e vedremo il perché.
Gli ostacoli (contrattempi) sono scuse presentate a sé stessi per autoassolversi e giustificare delle scelte precise, o altri atteggiamenti e abitudini; basta ovviamente non confonderli con avvenimenti imprevedibili e fuori dal proprio controllo. Potremmo, per capirci meglio, distinguere tra contrattempi imprevedibili e contrattempi convenzionali. Qui parliamo di questi ultimi, la cui convenzione è naturalmente l’adattarsi a una gestione conforme alle abitudini e regole non scritte della società. Una gestione conforme del contrattempo è ben accetta dalla comunità in cui si vive, e garantisce quelle assi che servono alla nostra barchetta per galleggiare. Dunque semplifica la vita, per certi versi.
Non ci sarebbe nulla di male se quelle abitudini e regole non scritte giungessero attraverso una società sana ed eticamente forte, ma poiché non è così la gestione del contrattempo va quasi sempre a danneggiare qualcun altro. Quanti, per esempio, si perdono la vita dei propri figli per i ripetuti contrattempi sul lavoro? La (auto) assoluzione comunitaria plaude all’unisono ed è nota a tutti: «E’ per il loro bene!». Poi, però, si scorge molta gente che oggi rinuncia a fare figli, e tra le motivazioni adduce proprio la mancanza di tempo da poter dedicare all’essere genitori. Questo è l’esempio più classico di “dissonanza cognitiva”, quando ciò che si fa non coincide con quello che si ritiene istintivamente giusto (la legge naturale di cui parlavo nello scorso articolo).
C’è più che mai bisogno di mediare la gestione dei propri contrattempi tra quello che si aspetta la società e quello che sarebbe giusto fare. Non dico fare esclusivamente quello che è giusto, perché è garantito che galleggerebbero a malapena i più temerari, forti e integerrimi, con un salvagente di fortuna e nemmeno la barchetta.
Mediare è saggio perché così proviamo a fornire un contributo per migliorare questa società da “Yes Man”, sapendo invece dire di “NO” ed elevare al più alto livello possibile l’Essere (e chissà non si veleggi al di sopra del mare, anziché galleggiare…). Questo non farà eroi, e va bene così. Farà però persone più forti e mature, ed è quello che serve: persone che sanno mediare tra l’appoggiarsi agli altri, ai propri affetti, per sopportare insieme il peso dei contrattempi conformisti, e il saper anche dire di no con garbo e assertivismo. E quando serve sanno infine riconoscere i contrattempi nelle proprie superficialità o cattive abitudini che, alla lunga, minano soprattutto la propria esistenza, ancorché quella delle persone che ci stanno vicino e ci supportano.
Quindi è chiaro: per assi più forti e robuste, che vi garantiscano un ottimo galleggiamento, conformatevi del tutto anche alle regole dei contrattempi di questa società, che di regole storte ce ne fornisce tante e per tutti i gusti. E galleggerete felici, se galleggiare vi basta.
Io sospetto (o spero) che non vi basti.
Come ho accennato all’inizio: il mare è burrascoso, ma più calmo del passato. Non siamo certo in bonaccia, ma una burrasca più gestibile e di cui approfittare per ambire alla bonaccia. E’, più realisticamente, un turbinio apparente che si può ritrasformare facilmente nelle furiose tempeste del passato, tirando giù a fondo tutte le barchette “felici” che si accontentano di galleggiare. Quindi potrebbe non esserci tutto questo tempo per approfittare della revisione di tutti quei contrattempi conformisti.
Buon lavoro!
base foto: AI “DALL-E”, su prompt specifico, 12/12/2024
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