La manipolazione del nesso causale

La manipolazione del nesso causale

Di solito non prendo pause così lunghe tra una riflessione e l’altra. Nel mondo accade di tutto ultimamente; ci si sente sopraffatti dall’irrazionalità che governa cause ed effetti. Talvolta avverto il bisogno di ponderare ancora meglio quello che scrivo.

Come quando si lancia una pietra sopra un velo d’acqua. E si sa: questa andrà giù a fondo creando delle onde increspate e concentriche in superficie, di impetuosità, durata ed estensione, proporzionali all’impatto.

E’ ben nota questa fenomenologia di causa-effetto. Come sappiamo è legata al principio scientifico di “reciprocità” descritto da Newton, nella terza legge del moto che regola azione e reazione:

Ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria: ossia le azioni di due corpi sono sempre uguali fra loro e dirette verso parti opposte

Non potremmo mai immaginare che lanciando una pietra sull’acqua o in faccia a qualcuno non accada nulla. E nemmeno si può immaginare che produca ciò che piacerebbe a noi, e cioè un effetto diverso da quello che è invece naturale e impossibile da modellare o manipolare in qualunque altro modo.

Questa fisica del moto può essere integrata in un livello di astrazione ancora più elevato, in grado di descrivere tutti i fenomeni attraverso il linguaggio filosofico e razionale, perlomeno tutte le volte che non abbiamo bisogno di fare calcoli per mandare un razzo in orbita.

In questo caso il principio di reciprocità newtoniano diventa nesso di causalità (mutuato da concetti di diritto) e indica ogni relazione che lega indissolubilmente l’azione, o anche l’omissione, che è la causa per entrambe le evenienze, al suo conseguente e inevitabile evento, cioè l’effetto che produce tale causa. Si noti che abbiamo aggiunto un interessante novità nella causa: l’omissione, teniamolo a mente. In fisica non avrebbe senso parlare di omissione, essendo essa inazione che non può produrre alcuna reazione. Per questo abbiamo ampliato la visione parlando di nesso di causalità, in quanto così possiamo parlare di qualunque situazione statica o dinamica che sia in grado di produrre effetti.

A noi interessano soprattutto gli effetti sociali. Tutto ciò che osserviamo, anche quest’articolo, è un effetto prodotto da una causa. E qui infatti scrivo per causa di un evento scatenante legato ai fatti drammatici che si sono intensificati nel mondo in questi giorni. Dunque comprendiamo che già il ragionamento che porta a determinare la causa di questa mia riflessione è legato a una ramificazione di precedenti rapporti causa-effetto. Quest’articolo è solo l’effetto finale e provvisorio.

Dovrei anche considerare che l’effetto potrebbe rivelarsi inopportuno, controproducente, e dare origine ad altri eventi della mia vita o in quella di chi lo leggerà. O niente di tutto ciò. Per questo è meglio che il pensiero sia comunicato con responsabilità, cercando di prefigurare tutti gli scenari causa-effetto che si possono produrre, così da limitare al minimo eventuali svantaggi e massimizzare invece gli obiettivi positivi che mi prefiggo.

Ma dev’essere davvero così difficile e cervellotico mettersi a scrivere qualcosa per comunicare il proprio pensiero? Scomodare, addirittura, il nesso di causalità?

Non difficile, né cervellotico, ma preciso, attento, come detto prima: responsabile! Se vogliamo ragionare sulla reazione - effetto finale - dobbiamo per forza compiere un’analisi completa e puntuale di tutti i rapporti causa-effetto ad esso legati. Questo non si fa praticamente mai. Si ragiona e giudica intorno all’effetto limitando la rilevanza oggettiva e temporale della causa, o delle cause.

Quelle onde che increspano l’acqua diventano uno tsunami e investono la costa, devastando abitazioni e provocando dolore. Ecco che sarà stata colpa di un terremoto purtroppo imprevedibile. Abbiamo così l’approssimazione della causa. Una sola e superficiale, che tiene appena conto dell’ultima causa dietro una catena di concause e conseguenti effetti. Ad esempio, occorre chiedersi il perché si abitava quella costa pericolosa. Cosa si è fatto o non si è fatto per proteggersi da questi eventi. E così via.

Il nesso di causalità è talmente importante nel ragionamento, nella spiegazione dei fenomeni, nella ricerca della verità, che trascurare la sua profonda analisi non può che portare a conclusioni sbagliate. Di solito opinioni, e mai tesi.

Ma badate, accade anche l’esatto opposto: si fanno analisi cervellotiche inventando, ampliando, complicando, concause per intorbidire un’analisi molto più lineare che tende a un risultato razionale e immediato.

Ed è quello che sta accadendo in questi giorni.

Per esempio, orde di opinioni proferite anche da “apparenti” intellettuali e “illuminati” politici e capi di stato, hanno posto a condizione del cessate il fuoco in Palestina la ferma condanna degli atti terroristici del 7 ottobre, subiti da Israele. Una condizione di ragionevolezza (!) che viene posta anche a chi manifesta per la pace, e chiunque altro inizi ad argomentare qualcosa in ordine a quello che sta succedendo. Sarebbe una premessa imperativa, che, laddove non proferita, inficerebbe la validità di qualunque azione.

Tuttavia, se ci fermiamo un momento a osservare la causa che muove chi chiede il cessato il fuoco, notiamo che non può avere nulla a che vedere con gli attentati del 7 ottobre. Siamo in presenza di una totale assenza di nesso causale con gli attentati, giacché qui la causa è esclusivamente legata agli effetti dei bombardamenti presso Gaza, atteso che essi:

  • provocano immensa distruzione di edifici civili e l’uccisione di migliaia di persone innocenti, tra le quali moltissimi bambini;

  • non colpiscono i responsabili dei brutali fatti del 7 ottobre, perché sono nascosti altrove e presenziano, addirittura, in proclami televisivi da salotti presso altri Stati che li ospitano e proteggono;

  • rischiano di colpire gli ostaggi israeliani ancora in mano ad Hamas, che potrebbero essere in uno qualunque dei posti che vengono bombardati;

  • non sono giustificati dal distruggere i razzi rudimentali di Hamas, visto che il loro lancio è immediatamente intercettato dall’avanzata tecnologia israeliana: i razzi colpiti in aria (quindi non raggiungono gli eventuali obiettivi) e il sito di lancio immediatamente individuato e messo fuori uso.

Sono dunque effetti che provocano solo desolazione e distruzione, incline, verosimilmente, a un mero risultato di vendetta (causa eticamente inaccettabile). Non va nemmeno trascurato il focolaio che verrà alimentato negli anni futuri nell’animo dei sopravvissuti, che altrettanto verosimilmente andranno ad allargare le fila delle organizzazioni terroristiche e dei loro sentimenti di odio antisemita. Israele, così, produce soldati scelti per Hamas.

Ora, sebbene sia auspicabile, nel linguaggio della diplomazia, chiedere di fermarsi premettendo quella frase “sappiamo quanto soffrite” (e lo sappiamo davvero!), non può essere comunque una condizione a subordine del “cessate il fuoco”, poiché questa serve unicamente a evitare che continuino a prodursi effetti così abominevoli e pericolosi per il futuro.

E’ successo persino in sede ONU. L’appello al cessate il fuoco non ha incluso quella premessa e ha determinato alcuni paesi, come l’Italia, ad astenersi dal voto. E’ passata ugualmente, ma senza il voto del nostro paese. Non era nemmeno una risoluzione vincolante, ma una “mera supplica” a quel cessate il fuoco. Subordinare perfino la preghiera a qualcosa che non ha alcun collegamento immediato con il risultato da ottenere - salvare quante più vite possibili e al più presto - determina un atteggiamento illogico, orribile, spregevole.

Se questa era l’analisi di un nesso di causalità abbastanza elementare, attorno agli stessi fatti ne potremmo scorgere adesso uno molto più complesso. E osserverete il seguente paradosso: nel caso facile appena visto, si sta ragionando in maniera difficile; nel caso difficile che ora vedremo, i ragionamenti sono a dir poco fanciulleschi.

L’esame interessa il diritto alla difesa invocato dal governo israeliano (effetto), a causa degli attacchi terroristici subiti.

Notiamo subito qualcosa che rende più complessa l’analisi, perché è vero che la causa della difesa è il terrorismo, ma qual è la causa del terrorismo? C’è un legame tra tale concausa e l’orribile attentato ai civili israeliani?

C’è, naturalmente, più d’un legame. Tra i più rilevanti esistono le questioni sui territori occupati, il conflitto secolare sulla ripartizione, gli accordi mancati, i due Stati mai nati, un popolo (palestinese) troppo povero per emanciparsi che continua a vivere sotto regimi e integralismi religiosi, lo stesso popolo che non ha armi e tecnologie per combattere una guerra convenzionale.

Dunque gli atti di terrorismo erano quantomeno prevedibili. Infatti non sono certo i primi che subisce Israele, così come in altre parti del mondo accusate di sostenere Israele (il cd. occidente). Ciò che è prevedibile richiede azione. Se è mancata l’azione (sorveglianza, lotta costante e chirurgica, dialogo permanente per trovare accordi, etc.) allora tra le cause del massacro del 7 ottobre dobbiamo includere l’inazione, o l’azione inefficiente, del governo isareliano e di chi lo sostiene.

Basta questo. Non è nemmeno necessario analizzare i fatti storici, perché anche se risultassero chiari ci si perderebbe in polemiche tra chi ha interesse a distorcere i fatti o riscrivere la storia.

Ma anche il “basta questo” diventa troppo. Poiché alcuni politici e media ci dicono che il nesso di causalità attorno agli atti del 7 ottobre non deve andare oltre la semplicistica affermazione: “Israele è stata attaccato e ha il diritto di difendersi”. Il che è ovvio, non si può certo negare la difesa, ma le cause che hanno portato a questo, e cioè quelle sommariamente viste sopra, hanno un peso specifico non trascurabile.

Il nesso di causalità, come abbiamo visto, è oggetto di manipolazione continua: a volte sottraendo elementi decisivi, e altre volte aggiungendo questioni ultronee. L’obiettivo è quello di inquinare ogni discorso e liquidare le tesi contrarie.

Sebbene non sia facile, dobbiamo diventare bravi nell’individuare queste fratture logiche. Vi prego sommessamente di provarci sempre e non rinunciare mai a ragionare, né accettare “per fede” le conclusioni degli altri.

Base foto: Arek Socha (qimono) da Pixabay

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P. Giovanni Vullo

In questa navicella spaziale, vado in giro a fare scoperte. Provo a capire come funziona. E ve lo racconto.