La materia Giustizia viene subito dopo la comunicazione di cui ci siamo occupati nello scorso capitolo, quale origine di classi dirigenti che poi non si rivelano in grado di governare e, soprattutto, provvedere alle necessarie riforme strutturali.
Perché prima la Giustizia anziché la Sanità o la Scuola?
La ragione è simile a quella argomentata la volta scorsa. In questo caso la Giustizia rappresenta il principio di legalità per discutere (comunicazione) senza violare l’onestà del confronto e vincolati dai principi della nazione (Costituzione). Questi ultimi vanno contemperati con giudizio tra loro e sui parametri di equità costituenti carburante per il cosiddetto “ascensore sociale”.
In parole povere la Giustizia è garante del rispetto delle regole che devono essere conosciute e seguite per progettare, implementare e gestire - al di sotto di esse - qualunque soluzione per il paese, come per la sanità, la scuola, l’economia, e ogni altra materia fondamentale. Una Giustizia che non funziona bene è anche sinonimo di burocrazia lenta, inefficiente, costosa, e lo capiremo tra poco.
A complemento, ma non di minor importanza, va reputata la necessità per il cittadino di potersi avvalere della Giustizia nella maniera più informata e autonoma possibile. Ciò consente non solo di potere verificare e convalidare l’attività governativa su base legale, ma anche di poter conoscere e attivare in maniera intelligente gli strumenti a propria tutela nella consueta vita sociale, d’impresa e politica.
Esistono quattro grandi ostacoli a tutto questo (in ordine rigoroso):
- L’ipertrofia normativa, aggravata da linguaggio ambiguo, cifrato e sovrapposto tra norme, con conseguente incertezza del diritto, lentezza burocratica e ostracismi insormontabili
- L’assenza di fonti divulgative facilmente consultabili sulle norme vigenti e sulla giurisprudenza
- Gli alti costi di accesso alla Giustizia, che la rende “diseguale per tutti”
- La misconoscenza dei propri diritti e doveri
Il corollario è anche di ordine economico: circa 57,2 miliardi, pari a quasi il 3% del PIL ovvero circa un’intera finanziaria e mezza, spesi dalle imprese italiane a causa del cattivo funzionamento della burocrazia (fonte: CGIA Mestre, dal rapporto di The European House Ambrosetti). Questa è la parte disfunzionale che ci riguarda, ma solo per curiosità diciamo anche che il costo complessivo delle inefficienze burocratiche ammonta a circa 250 miliardi di euro l’anno. La cifra è impressionante.
Non abbiamo il dato della spesa che grava sui cittadini per le medesime disfunzioni a livello privato, nonché per il mancato ricorso alla Giustizia o per errori e inefficienze della stessa. Penso sia verosimile ritenere che una riforma strutturale “perfetta” permetterebbe un risparmio pari a circa due leggi di bilancio; e poiché la perfezione non esiste, diciamo pure che ci si può accontentare di una sola.
Non è ancora tempo per soffermarsi sulle questioni economiche, ma si è comunque inteso cosa significherebbe questa cosa: il governo avrebbe già i soldi in cassa e non dovrebbe rubarli ai poveri, potendo anche diminuire drasticamente e realmente la pressione fiscale sui redditi bassi. E l’ascensore sociale prenderebbe già quota. Chiusa la parentesi.
Riguardo agli ostacoli, trattiamoli ora uno per uno.
1.1. I problemi dell’ipertrofia normativa
A livello mondiale l’Italia è uno dei paesi con la maggiore pressione normativa esistente. Le stime sono tante ma nessuna di loro permette di risalire alla fonte. Su Pagella Politica del 14/12/2022 si riporta la stima dell’attuale ministro della Giustizia, Nordio, secondo il quale sarebbe pari a 250 mila leggi. Pagella Politica ricostruisce la possibile fonte di Nordio nella banca dati Normattiva, una delle poche perle nel mare delle mancanze patologiche. Ma considerando che molte migliaia di atti sono stati abrogati da precedenti tentativi politici di mettere ordine, la stima si “ridurrebbe” a circa 160 mila atti normativi (tra quelli nazionali e regionali), di cui 33 mila sono ancora “Regi Decreti”.
Sono numeri drammatici; specie se comparati alla Francia (7.000), alla Germania (5.500) o al Regno Unito (3.000). E se anche i numeri di questi e altri paesi fossero sottostimati, la forbice risulterebbe ugualmente impressionante. In proposito Tacito diceva:
Corruptissima re publica plurimae leges
Significando che il proliferare delle leggi è termometro di quanto sia corrotto un paese. Ad ogni modo, il danno più evidente si osserva nello strapotere acquisito dagli interpreti: la burocrazia giustifica la sua inefficienza e iniquità nella complessità normativa, liberata dalle proprie erronee applicazioni della legge (e Nordio starebbe anche provando a deresponsabilizzare ulteriormente i burocrati) e nei rallentamenti di ogni pratica per non sbagliare; i giudici, dal canto loro, vivono un comodissimo caos che permette di applicare e disapplicare norme ribaltando qualunque giudizio e favorendo di riflesso le iniquità e inefficienze burocratiche. Niklas Luhmann, famoso per la sua teoria sui sistemi sociali, può confortare tale sintesi aggiungendo l’ulteriore patologia che discende da una ignorantia legis ormai all’apice.
[...] non essendo più il cittadino in grado di sapere quali sono le leggi esistenti e in ogni caso di coglierne la portata normativa, e affermando che la tacita e deliberata ignoranza della legge è una pratica inevitabile anche presso le corti giudiziarie
(Gesellschaftliche und politische Bedingungen des Rechtsstaates, in Politische Planung, Opladen 1971)*.
Secondo Luhmann ignorare in tutto o in parte le leggi sembra ormai divenuta una condizione necessaria per emettere sentenze. Come se tutto questo non bastasse interviene anche la forma linguistica adoperata dal nostro legislatore, adoperandosi per rendere i testi delle norme ambigui, mai chiari, criptici, e se possibile privi di senso compiuto. Quest’altro effetto è anche dovuto all’eccessiva legiferazione per mezzo di DL (Decreti Leggi), che necessitano di conversione in tempi strettissimi e con numerosi rimandi a futuri decreti attuativi. Dovrebbero essere limitati alle urgenze (art. 77 Cost.), ma la politica ha scoperto che possono essere utili per far meglio alcuni dei loro “capolavori”. E riaffiora alla mente l’analogia delle varie inchieste sulle “somme urgenze” che coinvolsero diversi comuni italiani nei primi anni ‘90 dell’era “mani pulite”.
1.2. Possibili soluzioni sull’ipertrofia normativa
Sia alla Camera (dal 1997), e sia al Senato (dal 2022), esistono già i “Comitati per la legislazione”. Essendo relativamente giovani, specie quello al Senato costituito solo lo scorso anno, non è chiaro quanto abbiano contribuito alla qualità globale delle norme. Su Openpolis c’è qualche dato da analizzare, ma in ogni caso la competenza e incisività di tali organi risultano ridotte e vanno senz’altro potenziate prevedendo anche delle figure tecniche, perché non sembra affatto che siano stati in grado di migliorare tanti recenti atti normativi emanati in forma di DL poi convertiti. E’ sufficiente fare una ricerca su Google per rintracciare le innumerevoli leggi poco chiare e la loro pessima qualità, assieme ai danni che hanno fatto, solo nell’ultimo ventennio.
Questi Comitati, resi efficienti, possono essere certamente una buona risposta nel controllo qualità e chiarezza, oltreché omogeneità e non contrasto, di ogni futuro testo normativo. Va inoltre limitata la legiferazione per mezzo di decreti legge, possibilmente modificando l’art. 77 della Costituzione che già limita tale attività ai “casi di necessità e urgenza” (sic!). Ma questo evidentemente non basta a far moderare i nostri politici.
Per tutta la legislazione esistente occorre invece la costituzione urgente di un dicastero tecnico permanente per la revisione normativa. Possibilmente presieduto da giuristi di chiara esperienza. Vanno esaminati tutti gli atti normativi esistenti proponendo le necessarie abrogazioni, unificazioni, trasformazioni in testi unici, e segnalando le sovrapposizioni e i contrasti insanabili alla luce anche di eventuali contrasti giurisprudenziali.
Ci vorranno anni. Ma è necessario e ormai indifferibile.
2.1. I problemi dell’assenza di fonti divulgative
Tutti conoscono la comune locuzione: “la legge non ammette ignoranza”. Discende dal principio di diritto espresso con il brocardo giuridico “ignorantia legis non excusat”, codificato all’art. 5 del codice penale ed esteso a ogni altro ambito dell’ordinamento (eg: civile, amministrativo) ove siano previste sanzioni e punizioni. Si trattava di una cosiddetta “presunzione assoluta” che non ammetteva alcuna prova contraria, fin quando non intervenne la storica sentenza n. 364/1988 della Corte Costituzionale che in sintesi introdusse la cd. “ignoranza inevitabile”. Ma il perimetro di questa apertura alla scusabilità è stretto ed eccezionale, ed è bene augurarsi di non doverlo mai percorrere.
Rimane l’obbligo strettissimo da parte del cittadino di conoscere e rispettare la legge. E condizione sufficiente alla conoscenza della legge è la sua pubblicazione nei modi previsti dalla legge stessa, come la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale. Dopodiché, il cittadino dovrà arrangiarsi.
Naturalmente, chi ha interessi in particolari materie ricorre a una consulenza costante di esperti per non incorrere nel pericolo di aver ignorato qualche norma o non averla intesa in modo corretto. Questo sarebbe ancor più necessario se consideriamo quanto argomentato al punto precedente, ma è già di per sé inammissibile il limite divulgativo degli atti normativi tramite strumenti divenuti ormai anacronistici, e certamente mai idonei a conseguire quel risultato che consiste nell’obbligo della personale conoscenza, e non nel ricorso sistematico a interpreti esterni, peraltro con conseguenti costi e altri ordini d’incertezza (bravura degli interpreti stessi) a carico sempre del cittadino.
Per esercitare correttamente tale diritto, riducendo possibilità di errori e oneri, il cittadino dovrebbe inoltre poter accedere alla giurisprudenza che si forma attorno a una norma, e che rappresenta l’interprete più autentico e affidabile della norma stessa. Anche tale esercizio è vincolato da costi piuttosto elevati (banche dati giuridiche), e anche per questo viene affidato a quei consulenti esterni a cui si è fatto cenno. Inevitabile a causa degli astrusi tecnicismi della materia e del linguaggio tipico “legalese” reso spesso inaccessibile al cittadino medio.
In stretta sintesi, avviene che la conoscenza delle norme è resa complessa e costosa per il cittadino, nonostante la sua obbligatorietà quasi assoluta e le pesanti conseguenze (altri costi e intasamento della Giustizia) in caso di scarsa consapevolezza. E tutto ciò peraltro collide con l’art. 2 Cost., il quale enuncia il principio di solidarietà come dovere del cittadino, in questo caso a informarsi sulla legge, e quello dello Stato a rimuovere qualunque ostacolo che rendesse difficoltosa la piena cognizione della legge.
2.2. Possibili soluzioni sull’assenza di fonti divulgative
Fonti ufficiali come Normattiva (ufficiali solo in senso di qualità e attendibilità) costituiscono delle ottime banche dati ma servono a poco. Esse facilitano solo la ricerca di una norma che già dev’essere conosciuta, e spesso limitatamente alla legislazione nazionale, ma non sono comunque organizzate per materia, né permettono la ricerca tematica e l’intreccio tra testi normativi giurisdizionali (comunitari, nazionali, regionali, etc.) per presentare letture granulari e coordinate su determinati quesiti. Inimmaginabile, poi, la correlazione tra norma, giurisprudenza e dottrina (quantomeno quella pubblica, libera, non gravata da diritti d’autore onerosi). E quest’altra faccenda è irrinunciabile se si vuole comprendere il significato che i giudici e gli altri operatori del diritto (eg: Avvocatura dello Stato, Università, IGSG, CNR, etc.) hanno attribuito alla norma nell’applicazione pratica su sentenze e casi di studio.
Questo è ciò che fanno le migliori banche dati a pagamento.
Coordinando le centinaia di risorse presenti su Internet è possibile mimare i risultati che si otterrebbero attraverso una banca dati a pagamento, ma questo richiederebbe una formazione molto specifica, agilità di verifica e tanta esperienza e pratica sulle fonti; e nonostante tutto questo occorrerebbe sempre più tempo di quanto non ne richiederebbe il servizio a pagamento. Pertanto sarebbe una soluzione decisamente improponibile e improbabile per il cittadino medio.
Il cittadino non può essere obbligato a pagare per qualcosa che è obbligato a conoscere al meglio, quindi vanno assolutamente realizzati servizi analoghi a quelli attualmente forniti solo a pagamento da privati come Giuffrè, Wolters Kluwer, eccetera. Lo Stato può anche rivolgersi a tali soggetti privati e pagarli per rendere accessibili tali servizi al cittadino, fin da subito; d’altro canto lo Stato ha già sistemi di ricerca abbondanti ma meno sofisticati come Italgiure, e molte altre risorse interne usate quotidianamente dai magistrati, ma inspiegabilmente offerte a pagamento per il cittadino comune!
3.1. I problemi dovuti agli alti costi di accesso alla Giustizia
Nei due punti che precedono sono già evidenti alcune delle ragioni che causano esborsi insostenibili per accedere a una conoscenza precisa e puntuale della legge e valutare un eventuale problematica giudiziaria.
Il cittadino non può farcela da solo, né un consulente di diritto intermedio (figura peraltro inesistente), ma unicamente un professionista del diritto quale può essere l’avvocato. Fin dal principio è necessario rivolgersi a tale categoria professionale per poter valutare qualunque questione, e i costi già in questa fase sono proibitivi per milioni di persone che fanno i conti al centesimo sul fine mese. E se la materia fosse più complessa, diventa problematico anche per chi se la passa meglio. Il risultato è spesso la rinuncia a capire o difendersi, congiuntamente al rischio di impelagarsi in contenziosi ultronei, banali, capricciosi, superflui o perdenti, che intasano la Giustizia ma vengono incoraggiati da professionisti con poca esperienza o senza troppi scrupoli.
Tutto ciò ha ben poco senso se si ha cura di notare che il cittadino può accedere direttamente, senza assistenza legale, presso Giudici di Pace e alcune questioni attinenti alla Giustizia Tributaria. Ma come può essere autonomo se non conosce la legge né può usare strumenti informativi adeguati? Un’assurdità clamorosa.
Nella denegata ipotesi di dover infine accedere alle aule di tribunale, opportunamente assistiti da legali ed eventuali periti, si consumerà il dramma economico più consistente. Il costo di una causa giudiziaria è sempre da preventivarsi nell’ordine delle migliaia di euro, e a seconda della complessità, durata e gradi di giudizio, si può arrivare alle diverse decine di migliaia di euro. Che sia contro un privato, un’azienda, o lo Stato, non sarà neppure facile, immediato, e a volte certo, recuperare le spese legali alla fine di un giudizio positivo. D’altro canto perdere potrebbe significare raddoppiare quasi tutto ciò che si è già speso.
Ecco perché si ricorda spesso quella considerazione fatta da uno degli illustri padri costituenti, Piero Calamandrei.
"La legge è uguale per tutti" è una bella frase che rincuora il povero, quando la vede scritta sopra le teste dei giudici, sulla parete di fondo delle aule giudiziarie; ma quando si accorge che, per invocar la uguaglianza della legge a sua difesa, è indispensabile l'aiuto di quella ricchezza che egli non ha, allora quella frase gli sembra una beffa alla sua miseria
(in “Processo e Democrazia” – Padova, Cedam 1954).
3.2. Possibili soluzioni sugli alti costi di accesso alla Giustizia
Vanno anzitutto abbattuti i due ostacoli discussi prima: l’ipertrofia normativa e l’assenza di fonti divulgative, per mezzo di soluzioni come quelle illustrate. Questo semplificherà le complessità e ambiguità normative da dover considerare e doterà il cittadino di strumenti di consapevolezza adeguati per effettuare valutazioni autonome. Potendo, inoltre, stare in giudizio autonomamente presso le sedi giudiziarie ove questo è permesso.
Una minore complessità normativa, che renda molto più chiaro l’intero ordinamento, è anche sinonimo di maggior uniformità di competenze e risultati da parte dei professionisti del Diritto. Un auspicabile “appiattimento” che renderebbe superflua la corsa al professionista più bravo ma dai costi proibitivi, potendo invece contare su una platea di professionisti tutti bravi, perché le cose sono molto più semplici e i costi proporzionalmente ridotti.
Un risparmio di spesa anche per lo Stato quando chiamato a sostenere le spese di avvocati d’ufficio e gratuiti patrocini. Proprio sul tema dei gratuiti patrocini, unitamente alle spese esenti sul giudizio, è poi necessario considerare un loro importante incremento e portata. Chi ricorre alla Giustizia non deve essere ostacolato da costi che formano barriere all’esercizio dei propri diritti. Gli ordini professionali, come già avviene in parte, possono continuare a essere delegati per valutare i casi degni di assistenza gratuita opportunamente ampliati, mentre le cancellerie, e in special modo quella di giustizia amministrativa e tributaria, non dovranno far altro che applicare fasce di esenzione più ampie regolate da un’apposita riforma di legge.
Non sarà mai possibile arrivare a un’uniformità di accesso tale da rendere la Giustizia realmente “uguale per tutti”, dal punto di vista economico (per fare questo occorre intervenire sul sistema economico stesso, e ne parleremo altrove), ma tali accorgimenti potranno, al più, rendere tale servizio simile a quello sanitario, per il quale non esistono esborsi per i meno abbienti pur restando notevoli divari tra chi può permettersi l’assistenza sanitaria privata, veloce ed efficiente, rispetto a chi può contare solo su un sistema sanitario che continua ad arretrare verso gravi lacune e inefficienze. Sebbene sia un tema diverso, qui volevamo solo dire che oggi sarebbe già sufficiente poter equiparare il sistema giudiziario a quello sanitario in termini di efficienza, qualità e possibilità di accesso.
4.1. Sulla misconoscenza dei diritti e doveri
La misconoscenza dei diritti/doveri dovrebbe stare al primo posto. Qui l’abbiamo messa per ultima perché tale lacuna è allo stato insormontabile nel normale processo educativo e scolastico. E’ solo possibile formare ragazzi che abbiano perlomeno una cognizione piena dell’intricata dedalo di ostacoli visti ai precedenti 3 punti, essendo questi gravemente disfunzionali e ostativi anche per i migliori specialisti del diritto. L’educazione civica, seppur da potenziare a livello scolastico, da sola non può risolvere le disfunzioni.
Detto questo, non ci si può tuttavia adagiare solo su tali disfunzioni facendone dei capri espiatori e coltivando la “beata speranza” che prima vengano abbattuti questi ostacoli. Ogni ostacolo, sebbene posto in un “rigoroso” ordine di priorità può - e deve! - vivere autonomamente dal punto di vista degli interventi che lo riformino in meglio, laddove le lacune siano chiare (e lo sono) a prescindere dall’interdipendenza con altri temi da riformare.
Nel caso della cattiva conoscenza del diritto, anche se non avessimo i problemi precedentemente rilevati dobbiamo comunque notare la completa inefficienza del nostro sistema scolastico nel fornire agli studenti una formazione civica adeguata. Il Diritto dovrebbe permeare ogni materia come avviene per la lingua madre. Non ci si può infatti esprimere oralmente e per iscritto, tanto meno comprendere, se non si trasferiscono i concetti linguistici in ciascuna delle materie di studio (cfr: Noam Chomsky). E ciò naturalmente avviene (sul successo, anche qui, sussiste però qualche problema che ci porterebbe a divagare circa l’analfabetismo funzionale).
Pertanto, al pari dei paradigmi linguistici anche quelli sul Diritto dovrebbero essere parte integrante di ciascuna materia di studio. E servono naturalmente insegnanti che si aggiornino trovandosi pronti a discutere di Cicerone e delle implicazioni del suo pensiero politico sull’ordinamento giuridico romano; oppure del rapporto tra Diritto e Matematica; e ancora, sulla morale filosofica (etica) e la sua influenza nel concepimento delle norme.
Queste dotazioni intellettuali dovrebbero costituire gli “standard di base” per modellare un pensiero razionale in grado di superare perfino gli ostacoli precedenti (mi sia concessa l’esagerazione). Ma non dobbiamo arrivare a tanto. Basti osservare, e rimediare, sulle lacune che non permettono oggi di conoscere nemmeno la nostra Costituzione in maniera perfetta. I come, i perché, gli scopi che persegue la legge delle leggi, e considerando infine i “quattro codici” che regolano la vita sociale del cittadino nel proprio paese.
Queste gravi lacune esistono, purtroppo, a prescindere. E la soluzione mi pare sia qui enunciata in maniera abbastanza nitida sul comparto educativo.
5. Conclusioni
Non ho parlato di riforma della Giustizia in termini infrastrutturali. In realtà non serve. Le disfunzioni tecniche relative ai due maggiori problemi della macchina giudicante, ossia gli errori giudiziari e la durata dei procedimenti, sono principalmente figli di quanto abbiamo fin qui discusso. Quest’assetto informe e pachidermico che ha assunto la Giustizia è in gran parte dovuto a questo. Quindi occorre prima semplificare, rendere le cose chiare e permettere al cittadino di essere consapevole, e tutto ciò si riverbererà in maniera estremamente positiva anche sul fronte dei “problemi tecnici”, risolvendone gran parte e ragionando poi su quel che rimarrà sicuramente da modellare.
Anche questo capitolo si conclude qui.
Se durante la lettura qualcuno si fosse perso in considerazioni sulle disponibilità economiche del paese, che potrebbero ostacolare molte delle soluzioni poste come esempio, ricordo solo le cifre esposte in premessa e annualmente bruciate dai cittadini. Con il loro risparmio sarebbe possibile moltiplicare per dieci queste soluzioni. Parleremo certamente di come “trovare soldi”, ma per tante altre cose e in un capitolo apposito che sarà parte di questi appuntamenti in corso.
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Base foto: DALL-E (IA), su input “Riforme e società stile Banksy”, 24/04/2023
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