Probabilmente abbiamo deciso che va bene così: non ci poniamo più molte domande, o semplicemente si dice: «E che ci posso fare?»
Da mesi è tornato tutto alla normalità, mentre di Covid ancora si moriva (e si muore?) non tanto meno del primo periodo, quando ci chiusero in casa. Sono numeri.
Ora conosciamo la malattia, è vero, e c'è qualche medicina in più oltre al vaccino. Ma questo “alieno” ancora si trasmette e muta, è più mite, e a volte anche no, ma continua a far danni. Quindi, al di la di tutto, l'abbiamo semplicemente accettato. Qualcuno deve morire! Non può “morire” l'intera società continuando a rallentarne il suo naturale e frenetico movimento, mantenendola distanziata, facendogli fare home working (non “smart”, che sarebbe un'altra cosa), obbligandoci all'uso delle mascherine. Aspettando, insomma, che i modelli virologici e quelli simulati dai fisici fenomenologi, in tema di controllo dell'attività umana in situazioni di emergenza, si producano dandoci un via libera più sereno.
Non si può. “Ah beh, Si beh…”, avrebbe cantato Gaber.
I modelli sono rimasti lì, a girare su un freddo quanto inutile elaboratore elettronico.
Insomma, per salvare una vita, e qui in gioco pare sia rimasta quella dei nostri anziani e delle persone più fragili, non si dovrebbero fare compromessi. Non si dovrebbe più applicare quel brocardo medievale “mors tua vita mea”, in questo nostro bellissimo mondo civilizzato, tecnologico e fantasticoso (voglio candidare anch'io un termine all'Accademia della Crusca).
Se succede, non siamo così fantastici. Diciamocelo.
Siamo un po' come nel regno animale: vince il più forte, e che sia selezione quasi naturale! Se mi permettete il “quasi”… perché qualche dubbio sul vantaggio selettivo tra un anziano fragile e un giovane forte potrebbe anche trapelare. Ma non divaghiamo.
Quel che invece deve farci sobbalzare dalla sedia è la nostra incapacità di trovare una soluzione che vada bene per tutti, che protegga e lasci vivere chi è più debole ed esposto a un virus da quattro soldi.
Serve riflettere un bel po', su questa apparente (oramai) banalità da liquidare fiduciosi nell'endemicità siml-raffreddore in via di sviluppo. Liberandoci anche di quelle polemiche tristi che si sono sviluppate nel tempo attorno a questa pandemia.
Riflettere sul fatto che questa società va bene ma non benissimo, per dirla con l'eufemismo più in voga. Il modello economico, soprattutto, attanaglia le nostre vite, se ne appropria, ci costringe a ritmi scanditi che non sono assolutamente naturali: quando e quanto lavorare, tempo e modi per risposare, come e dove divertirci. La cosiddetta “felicità” è una chimera che va compensata con diversivi anch'essi fondamentali per l'economia: l'impellenza di consumare concerti saltando con gli accendini in mano (beh… oggi si usano le torce degli smartphone), dobbiamo ovviamente andare al cinema, in spiaggia, nei teatri, ovunque, altrimenti questi settori muoiono. E non hanno nessun torto.
Viviamo i vuoti dell'economia (in)sostenibile che non ci lascia decidere quando è il momento di rallentare, frenare e poi riprendere con calma. E magari di nuovo accelerare, ma a nostro piacimento. Spezzare il ritmo è più mortale di qualunque Covid!
Non parliamo di soluzioni per ora.
E' necessario, prima di tutto, accettare queste palesi lacunosità. Prendere atto dell'obbligo dello "sbattiti e suda denaro" altrimenti muori, che ha qualcosa di veramente sinistro: perché vuoi o non vuoi, va a finire che si muore lo stesso prima del tempo!
E quando l'avremo accettato - ma davvero, non come i discorsi al bar - allora saremo anche ben disposti a parlare di soluzioni.
Base foto: Manuel Alvarez da Pixabay
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