Patriarchi e matriarche nella società del possesso

Patriarchi e matriarche nella società del possesso

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Nell’Occidente odierno non esiste più la vecchia società patriarcale, ma potremmo continuare a utilizzare questo termine, e il sinonimo matriarcale, in una nuova accezione: non più come sistema sociale e domestico governato per discendenza e designazioni arbitrarie, ma più coerentemente governato dai risultati. Dal “merito”.

I risultati, in casa e fuori casa, ormai può portarli chiunque, e in quel momento ha voce in capitolo, autorità, governo, credibilità, tutto. E’ un patriarca o una matriarca.

I risultati sono unicamente economici. Non esiste alcun altro tipo di risultato morale o validamente contributivo ai fini della prosperità umana, poiché anche il termine “prosperità” è stato indissolubilmente legato al profitto economico. Non esiste dunque risultato o prosperità al di fuori di quello economico, e naturalmente di possesso materiale.

Il possesso non è peraltro limitato alle cose ma anche - soprattutto - alle persone. Non se ne parla, ma è osservabile. E’ tramite il possesso dell’uomo che un altro uomo può prosperare sotto il profilo economico e per ogni altro ordine di possesso materiale. L’uomo si possiede soggiogandolo alla crisi occupazionale e ponendolo in perenne necessità di accettare compromessi, purché si senta garantito quel minimo per potersi sostentare.

La società è essenzialmente binaria e si divide tra chi possiede e chi non possiede. Le sfumature contano poco in un contesto del genere, perché non possono incidere influenzando l’egemonia dei possidenti. Piuttosto che lottare per l’equilibrio si tende a lottare per potersi collocare dalla parte migliore. Scalare le posizioni sociali, arrivare, riuscire, diventare il possidente, patriarca o matriarca, che governerà la propria sfera domestica, il proprio gruppo, o una più larga componente sociale.

In tutti i reparti sociali, che siano sfumature o detentori di un piccolo stipendio, esiste la velleità di scalare posizioni. Ed è per tale ragione che la società è competitiva: non è attualmente immaginabile, né compatibile con la società in argomento, un approccio diverso da quello competitivo.

Dal dopoguerra che ci ha devastato, la configurazione della ripresa sociale ed economica ha consolidato lo scenario di cui parliamo. Le famiglie - già dei nostri nonni - hanno iniziato a istruire i propri figli a diventare competitivi, meritevoli sotto tale profilo, invogliandoli in qualunque modo a ricavarsi una buona posizione sociale. E tale è la posizione del possesso, perché semplicemente non ve ne sono altre nell’attuale configurazione sociale.

Ma non siamo in una pista olimpionica per misurarci con altri atleti nella gara dei 100 mt piani, o in qualunque altro genere di sfida sportiva; e non esistono nell’economia del merito sistemi equi di allenamento e preparazione alla gara. Quindi non esiste una possibilità di competizione alla pari. E già si pensi che nemmeno in ambito sportivo è così, giacché la genetica, al di là di ogni preparazione atletica, incide in maniera significativa sulla prestazione.

La possibilità di crescere in ambienti intellettualmente stimolanti, la possibilità di frequentare le migliori scuole, la possibilità di avere alle spalle una famiglia già ben inserita socialmente nel possesso, questo e altro sbilanciano la competizione e la rendono sleale. Pochissimi, nonostante la slealtà, riescono a superare le prove inique, mentre tutti gli altri si illudono soltanto di potersi spingere al di là della loro miseria o mediocrità economica.

Ma tutti, indistintamente, sono pressati a farlo dalle stesse famiglie. Perché nessuno conosce altro modo, e nessuno è disposto a spostare la propria lotta su altri fronti. Sarebbe comunque una lotta, ma paradossalmente si sceglie la più difficile.

Il prodotto di questa spinta di piccoli patriarchi e matriarche che tendono a formare altrettanti individui, sono persone spesso devastate dalla depressione, dall’inadeguatezza, dalla rabbia, dal trasporre le proprie sconfitte nella conquista di controllo di qualunque altra persona vicina: amici, parenti, fidanzati, chiunque possa mitigare la propria inadeguatezza rendendosi controllabile e diventando una loro proprietà!

Perché il possesso - lo ripetiamo - è alla base della nostra cultura.

I principi che governavano gli aspetti innati della natura umana, ossia quelle doti naturali narcotizzate dal nostro sistema sociale, non sono stati protetti adeguatamente dalla politica. Sono stati abbandonati, tradendo la missione di garantire e accrescere modelli sani di cooperazione, solidarietà, affettività, condivisione, compassione, rendendoli estranei a questo esemplare di società della competizione sleale.

La sinistra politica, che ne era stata illuminata paladina nel costituirsi in quella straordinaria assemblea che ha prodotto la nostra Carta, ha abdicato al liberismo sfrenato. Lo ha sposato, e ne ha adombrato i peggiori effetti, che intanto si producevano. E producevano i nuovi patriarchi e matriarche che non hanno trovato spirito e forza per ostacolare i figli dal diventare numeri, e talvolta criminali.

La sinistra è colpevole!

Il cittadino ha interiorizzato questo tradimento, questa immane truffa che ne ha violentato la natura, perché anche chi spinge i propri figli alla competizione sfrenata avverte un disagio interiore, un inquietudine che non sa spiegarsi, catalizzando la sgradevolezza di tali sensazioni nel chiaro tradimento della politica in cui credeva, e proiettando le proprie speranze verso un aguzzino ancor peggiore e dichiarato: la destra neoliberista.

E’ così per tanti.

Sperano nel rigore tipico della destra. Nelle punizioni al degrado sociale che ha generato tutti gli attuali modelli di prevaricazione e corruzione, ma non hanno compreso che laddove la sinistra ha tradito quei principi, la destra non li ha mai minimamente concepiti. Dalla padella nella brace. Dobbiamo forse abbandonare le speranze in un’inversione di rotta verso la cooperazione sociale, dimentichi perfino della narcosi su cui giacciono solidarietà, affettività, condivisione e compassione. Un giacere definitivo.

Mentre scrivo apprendo anche dell’elezione di Javier Milei come presidente dell’Argentina, appartenente alla destra ultra-liberista dell’anarcocapitalismo. Vuole abolire l’istruzione e la sanità pubbliche, si dichiara contrario alla giustizia sociale e favorevole alle disuguaglianze, vuole legalizzare la compravendita di organi umani, e non è contrario alla compravendita di bambini. Questa è la destra a cui si stanno rivolgendo sempre più cittadini avvertendone la disinibita e spregiudicata forza, nonché la determinazione nel garantire ordine attraverso quella stessa forza e capacità repressiva dei deboli e dei criminali.

Ma a parte l’evidente declino umano, nessuna pena detentiva, pur aspra che sia, può contenere e risolvere la devastazione psicologica che impone un tale modello sociale. E ancor meno può lenire il dolore inenarrabile prodotto da individui che vivono questa società e quelle ancor più aspre che si prospettano, e che nel tentativo di possedere arrivano a uccidere chi non vuole essere oggetto di quel possesso. Si, sono più spesso maschi che si convincono della loro supremazia sulla donna, fatta oggetto di proprietà privata. Ma è solo uno dei tanti terribili mali che produce la società della competizione ai fini del possesso.

Oggi piangiamo Giulia in un modo inconsolabile. Non mi bastano le mie stesse parole a spiegarmi il fenomeno, non sono minimamente consolatorie mentre scorrono di continuo notizie e messaggi social di polemiche e scambi di accuse tra fazioni politiche e tifosi delle stesse, in totale spregio a un dolore incontenibile. Da padre di una figlia della stessa età, sono straziato e combattuto nella profonda compassione per la famiglia dell’altro ragazzo.

Ieri abbiamo pianto tante altre donne, ragazzine. E poi innumerevoli altri casi di violenza, emarginazione, prevaricazione, ingiustizia, verso chiunque. Ne soffriamo gli effetti del male e della criminalità che seminano dolore nella più bella e avanzata civiltà del mondo. Quella che cerchiamo pure di proteggere dall’invasore extracomunitario e terrorista, incoscienti del terroismo psicologico e strisciante che abbiamo inventato e che pervade “indisturbato” la nostra esistenza.

E’ impossibile educare a una visione diversa chi dovrà poi scontrarsi con la realtà e la scalata a questa società del possesso. Non parliamo di educazione, per favore. Bisogna dire “BASTA!” e cambiare questa società, radicalmente, prima di poter concepire un sistema educativo compatibile con essa.

Prima di poter minimamente pensare di contenere le follie patologiche dei nostri tempi.


NOTA DI AGGIORNAMENTO DEL 29/11/2023

Qualcuno mi faceva notare che la società competitiva può anche sviluppare una cultura deviata del possesso, ma non per questo si determina l’aggravante per compiere atti così crudeli come i femminicidi. Infatti, in altre società come ad esempio nel mondo islamico integralista, i femminicidi sono di un fattore 10 volte maggiore rispetto al nostro, quando va bene.

In realtà non c’è alcuna discrepanza con il mio ragionamento, anzi il fatto che in altre società, come quella d’esempio, questi atti deplorevoli siano maggiori, conferma la tesi che ho esposto. Tale tesi è incentrata sulla “cultura del possesso”, che è solo uno degli effetti di una causa sottostante.

Nel nostro Occidente, la causa è il liberalismo sfrenato che adotta la competizione come volano del tutto. In altri posti può anche essere l’esatto opposto, ossia l’assenza di libertà, il controllo, il fanatismo religioso, che alimentano allo stesso modo la cultura del possesso, e in questo caso lo fanno proprio in danno maggiore della donna: un mero oggetto al servizio dell’uomo.

La cultura del possesso può quindi svilupparsi in svariati modi e in società estremamente diverse tra loro. Il male ha molte facce.

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P. Giovanni Vullo

In questa navicella spaziale, vado in giro a fare scoperte. Provo a capire come funziona. E ve lo racconto.