Mi sono soffermato a riflettere su un pensiero letto in rete, in una pagina facebook, ma di cui non sono riuscito a trovare la fonte originale. Non sembra essere riportato da nessun’altra parte.
Ne espongo la sintesi per poi commentarlo insieme.
«[…] Se siete una brava persona, i vostri sacrifici non saranno apprezzati. Vi useranno, ma non vi apprezzeranno. Al contrario, diranno che si aspettano di più da voi! Che bisogna impegnarsi di più e aiutare meglio gli altri. Dovreste sforzarvi di più.
La vostra buona azione sarà svalutata e le vostre richieste si trasformeranno in pretese. Se non avete aiutato o rifiutato abbastanza, si infurieranno con voi. Perché lo scopo di una persona buona è fare del bene! Questa è la sua funzione e la sua caratteristica. Vi arrabbiereste anche se lo zucchero fosse amaro? Lo stesso vale per un uomo buono. Sembra che abbia ingannato le aspettative. Non era abbastanza dolce.
Ma se una persona malvagia compie una piccola buona azione - come dare a un povero la carta di una caramella da leccare - tutti lo noteranno subito e loderanno la persona malvagia. Non ha colpito nessuno, ma avrebbe potuto farlo! Ha donato un centesimo del suo incalcolabile tesoro! E tutti sono pronti a portare il cattivo in braccio e a dargli una medaglia per la sua minuscola bontà...
È la legge dei contrasti che agisce. Sullo sfondo delle buone azioni ordinarie di un uomo buono, la sua prossima buona azione è completamente invisibile. Come il bianco su bianco. E la buona azione dell'uomo cattivo è bianco su nero. Brucia l'occhio, si nota molto!
La seconda legge è quella del rinforzo. Quanto più raro è il rinforzo positivo, tanto più è apprezzato. È così che si addestrano gli animali: si danno loro delle leccornie a poco a poco e raramente. Per dieci volte ha saltato e all'undicesima ha ricevuto un boccone di zucchero. E questo pezzo diventa estremamente desiderabile. Una settimana si arriva ubriachi, poi una volta sobri - e tutti sono contenti! O di solito rimprovera tutti in modo brusco, ma oggi non ha detto una parola sgarbata! Dategli una medaglia per questo!
Quindi non siate troppo gentili e generosi. Dopo un po' vi verrà chiesto di più e svaluterete tutto quello che facevate prima. Naturalmente, bisogna essere bravi. Ma con moderazione. Perché è pericoloso e poco redditizio fare sempre del bene agli altri» (Anna Kiryanova)
Il grassetto è mio. L’autrice, come riportato alla fine del citato, dovrebbe essere Anna Kiryanova, una psicologa che ha scritto dei libri ma di cui non ho trovato molte informazioni in rete. Probabilmente il pensiero sarà stato estratto da qualche suo libro o articolo.
Ad ogni modo, mi hanno turbato le conclusioni: «è pericoloso e poco redditizio fare sempre del bene agli altri». Ma esaminiamo meglio il contesto fondante di questo pensiero, considerando fin da subito che queste conclusioni, come l’intera parte citata, sarà probabilmente frutto di una traduzione che potrebbe anche non essere perfettamente coincidente con il pensiero autentico dell’autrice. Ho notato, del resto, ambiguità espressive che comunque non inficiano il pensiero nel suo insieme.
Un’ulteriore e buona premessa sarebbe l’articolo “La bontà è debolezza?”, che ho avuto occasione di scrivere qualche mese fa: La bonta e debolezza.
All’apparenza, l’autrice dice cose molto sensate. Si possono ridurre al concetto dell’ingratitudine, sebbene le questioni sollevate tocchino temi più complessi come l’avidità, la pretesa, il ravvedimento, la sorpresa, o addirittura il miracolo, inteso come evento eccezionale.
E attraverso questo si approda a quella conclusione, che io ritengo profondamente errata sotto due profili: quello semantico, e quello etico.
Non discuto l’aspetto psicologico. Non perché l’autrice sia una psicologa, indubbiamente più titolata e capace del sottoscritto, ma perché questo pensiero ha poco a che fare con la psicologia, innestandosi invece in un complesso di abitudini e riflessioni filosofiche da cui prima dobbiamo trarre la validità e coerenza semantica delle affermazioni (questo in ogni caso).
Dal punto di vista semantico, inteso in filosofia come la coerenza logica delle espressioni con i concetti a cui devono necessariamente legarsi, la prima questione peregrina si nota nel considerare lo scopo di una persona buona come quello di fare del bene. L’uso del termine “scopo” è fuori luogo, in quanto una persona buona fa dal bene come “conseguenza” dell’essere buono, non come scopo (eg: scopo di vita).
Altrettanto oscuro, o meglio: fuorviante, è il concetto della “scontatezza” del fare sempre del bene, tale da non stupire più nessuno. Ma il bene non deve affatto stupire, perché dovrebbe?
La verità sarebbe più elementare e interna al fatto naturale del bene: esso non stupisce perché in effetti è scontata la sua giustezza. Ci si stupisce del contrario: del male.
L’autrice pare necessitare di questa premessa – non valida, per come visto – per poi far discendere il risultato del “bene invisibile” (così lo definisce) poiché diventa ripetitivo in una persona buona e si presenta come “bianco su bianco”. Se la premessa fosse buona, e non lo è, sarebbe comunque un concetto troppo rigido e decontestualizzato per considerarsi logico, poiché rinforza il pregiudizio dell’ingratitudine (ovvia e diffusa) alla base delle buone azioni. E queste, a parte l’ingratitudine, constano di infinite sfumature e diversi scenari che rendono il bene assolutamente prioritario, visibile e distinguibile, non solo dall’eventuale ingrato, ma da un pletora di altri soggetti che trasversalmente, e per infinite altre ragioni, ne traggono esempio, ammirazione, scopo, ispirazione.
Viene affrontata anche l’opposta metafora, ovvero del “bianco sul nero”, rilevando come il bene fatto da una persona malvagia si noti molto di più. E vale anche qui una carenza motivazionale parecchio accecante. Addirittura, vi si opporrebbe un’altra nozione di comune esperienza altrettanto valida – ponendo che la questione dell’autrice assurga anch’essa a nozione d’esperienza valida – e cioè quella dei diffidenti (perplessi, malfidenti, o validamente dubbiosi). Se è vero che la diffidenza è categoria piuttosto vasta, allora difficilmente una buona azione, da qualunque lato provenga, potrà essere lodata senza dubitare sui secondi fini. Dunque se la buona azione del malvagio fosse anche più visibile ed eclatante, sarebbe una visibilità alquanto chiacchierata e ben poco lodata.
Potremmo aggiungere astrattamente i sentimenti di stupore e speranza di categorie minori a cui la luce di una buona azione da parte di un malvagio rappresenta appunto un segno di speranza, e la maggior lode è incoraggiamento a fare di più, moltiplicando il gesto.
Quest’ultima osservazione la potremmo legare al concetto di “rinforzo positivo”, ma per ragioni opposte a quelle dell’autrice. Del rinforzo positivo ne parla essa stessa, ma in una chiave ben diversa che vedremo tra poco, e che è altrettanto peregrina.
Sul concetto di visibilità/invisibilità di una buona azione possiamo concludere osservando infine che “bianco con bianco” e anche il male continuo, e di questo ci si accorge sempre, sebbene l’autrice non ne faccia menzione. In egual misura al “bianco con nero”, che però può essere il male da chi ha sempre fatto del bene, parimenti ignorato nel pensiero in commento. Non c’è dunque nulla di cui stupirsi se salta all’occhio l’inusuale, e perfino se l’inusuale è maggiormente “lodato” rispetto all’usuale, poiché sarebbe un naturale processo di “rinforzo positivo”.
Su quest’ultimo punto del “rinforzo positivo” l’uso fatto dall’autrice, a differenza di come ce ne siamo occupati noi, non è solo e completamente slegato dalle sue conclusioni, ma profondamente fuori luogo. La chiama “seconda legge” (la prima era sul “contrasto” fin qui esaminato) e pone a fondamento della tesi l’esempio dell’addestramento degli animali. Considerata la distanza siderale tra l’animale e l’intelletto dell’uomo, direi che non è necessario attardarsi al commento di questo assurdo paragone.
La semantica di tutte le questioni sollevate è dunque molto plastica, e non pone significati univoci e coerenti tali da giustificare la potente affermazione finale.
“Essere bravi con moderazione", questo conclude in sintesi l’autrice, ma non ha alcun senso e non è la logica conclusione alle argomentazioni che abbiamo esaminato. Manca, infine, l’essenziale indicazione di un dominio in cui far vivere tale “moderazione”; come e in quali momenti decidere che si tratta di un’occasione da limitare, e dunque desistere in quel momento dal fare del bene. Banalmente: facciamo l’elemosina all’andata di una passeggiata, ma pur potendola fare anche al ritorno la evitiamo. E quale sarebbe il vantaggio personale, sociale, etico?
Proprio sotto il profilo etico le conclusioni sono inaccettabili. L’essere umano è una creatura sociale e necessita integrazione e interazione coi propri simili, per il proprio benessere e per la propria evoluzione come razza. E’ dunque “scopo” etico occuparsi dei propri simili e aiutarli sempre quando possibile, senza alcun limite, moderazione, o col fine di ottenere un vantaggio o una “lode” per sé, ma in quanto comportamento naturale al benessere del gruppo: reca un vantaggio alla razza umana.
In proposito, vorrei anche ricordare un principio filosofico ultra millenario e universalmente condiviso, detto anche Regola Aurea, di pochissime parole, dice: «Fai agli altri quello che vorresti fosse fatto a te», dal quale discende la forma opposta «Non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te».
Non parla, ovviamente, di illogica “moderazione” nell’applicare il principio.
La Regola Aurea viene spesso formulata nelle varie religioni: Buddismo, Cristianesimo, Induismo, Islamismo, Ebraismo, e ogni altra maggiore o minore. Hillel, rabbino ebreo vissuto prima di Gesù, un giorno accettò la sfida di recitare l’intera Torah stando in piedi su una sola gamba, e rispose: «Non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te. Questa è tutta la Torah!». Con quest’approccio occamista di estrema efficacia Hillel vinse la sua sfida, qualche millennio prima che tale modello economico di pensiero prendesse forma attraverso il suo autore.
Anche l’Islam, e Gesù nel Cristianesimo, sono stati eccellenti esempi di occamismo precursore, sintetizzando il complesso dei dogmi religiosi nella frase «Ama il prossimo tuo come te stesso».
Ai giorni nostri esistono diversi espedienti narrativi che hanno voluto interpretare la Regola Aurea – se mai ce ne fosse bisogno! – e tra questi spero di potervi parlare presto della piuttosto nota ”allegoria dei lunghi cucchiai”, perché ha una sua particolarità.
Base foto: Buon cuore infantile, Bontà (dipinto, opera isolata) di Carcano Filippo (sec. XIX)
Gli algoritmi di ricerca su internet, e quelli preferenziali dei social, non premiano cultura, pluralismo e contenuti utili e interessanti, ma fanno prevalere le banalità, le popolarità, l'intrattenimento, e la supremazia di informazioni mainstream promosse anche da incenti investimenti pubblicitari.
Questo progetto sarebbe invisibile senza costanti investimenti di autopromozione.
CONDIVIDENDO l'articolo e segnalando il sito e i profili social, contribuirai ancora meglio.