Le strampalate opposizioni al salario minimo

Le strampalate opposizioni al salario minimo

Oggi vi farò il torto di parlare di una cosa ovvia. Non è la prima volta che parlo di cose ovvie, ma pare che il nuovo sport nazionale sia diventato proprio questo: perdersi tra le cose ovvie facendole apparire complesse e indecidibili.

Però vi prometto di essere breve.

L’approccio della politica per discutere sull’opportunità di introdurre un salario minimo in Italia è totalmente fuorviante. Ma potremmo dire anche di più: si discute del nulla cosmico!

La gente è costretta ad ascoltare questo dibattito vuoto e inutile. In qualche caso pure “attenta” nel capire quali siano in effetti le (inesistenti) ragioni del contendere. Questa attenzione è naturalmente fuori luogo, provoca soltanto dissonanza cognitiva, perché si pensa che il proprio intuito vacilli nel ritenere del tutto ovvio un salario minimo.

Ed ovvio lo è! Come ad esempio è ovvia è la rivalutazione annuale delle pensioni rispetto all’inflazione, affinché sia sostenuto il potere d’acquisto. La conosciamo come “perequazione”, e nessuno osa metterla in discussione; talvolta è successo in via emergenziale, ma è intervenuta puntualmente la Corte Costituzionale a bocciare le norme che limitavano irragionevolmente tale intervento. Così avviene per l’assegno sociale calcolato periodicamente sulla soglia di povertà, che è quel minimo sindacale - peraltro risicato e poco realistico - che dovrebbe permettere a un essere umano di sopravvivere.

Le aziende, dal canto loro, aumentano i prezzi. E’ logico: aumentano materie prime, aumenta l’energia, aumenta tutto. Per mantenere il proprio utile adeguato al potere d’acquisto è inevitabile aumentare i prezzi al consumo. Una catena economica di aumenti del costo della vita. E sottovoce, molto sottovoce, diciamo che aumentano anche gli stipendi, fino al 1992 sostenuti dalla cosiddetta “scala mobile” (scatti di contingenza), poi sostituita da altri meccanismi ancora più inefficienti.

Benché indiscutibili, non possiamo certo nascondere quanto i meccanismi di perequazione siano comunque sottostimati e inadeguati, sul fronte pensioni, salari, e strumenti di welfare in genere. Nessuno è davvero al riparo dai rincari, potendo davvero contare su controllo e conservazione del proprio potere d’acquisto. Ragione per le quale ci si impoverisce sempre di più. Da ciò sono al riparo solo imprenditori e azionisti di grandi aziende, che hanno un mercato solido e poco sensibile all’inflazione, potendo così riadeguare i prezzi a qualunque rincaro e mantenere livellato il proprio utile. Spesso anche facendo maggiori profitti (in tempo di crisi i ricchi di solito aumentano la propria ricchezza).

Nessuno però oserebbe affermare che, vista la ridotta efficacia di talune perequazioni, si può soprassedere al loro calcolo o addirittura evitare del tutto di applicarle.

Capite, allora, il punto? Si vorrebbe ancora chiacchierare se sia giusto o meno il salario minimo; quando al più sarebbe tollerabile, e financo logico, discutere solo se la perequazione dei 9 euro orari per l’anno 2023 sia sufficiente. Personalmente la ritengo molto risicata, ma sarebbe l’unica cosa sensata di cui si possa discutere per determinare l’efficacia di un minimo dignitoso rispetto al caro vita, che ovviamente va rivisto anno dopo anno.

Una soglia minima di compenso orario - peraltro sostenuta dalla nostra Carta - non può sollevare nessuna contestazione sensata sull’an, ma solo sul quantum! Il ritardo incredibile nell’introdurre tale soglia è naturalmente inescusabile responsabilità di tutti i passati governi. Ma è più che giusto e normale farlo, rispedendo al mittente tutte le questioni banali che vengono costantemente sollevate oggi. Proprio come chiedersi il perché non lo avrebbero fatto i governi precedenti; oppure per la ridotta platea che ne beneficerebbe. E su quest’ultima “perplessità” si fanno perfino calcoli impossibili: nell’epoca Tridico l’INPS sciorinava dati affermando che il salario minimo avrebbe riguardato quasi 5 milioni di lavoratori; oggi, con l’INPS guidato dall’ideologia di destra-centro, i lavoratori sarebbero scesi ad appena 20 mila. Ma pensate!

Non si capisce cosa importi tutto ciò, mostrandosi peraltro molto sciocco il tentativo di ridurre la platea per ventilare la scarsa priorità del salario minimo. Evidentemente si crede di parlare con degli stupidi (e non è escluso). Ma se stupidi non sono, i cittadini si accorgeranno dell’ennesimo argomento pacchiano ad effetto boomerang: se infatti riguarda pochi, allora che problema c’è? Forse per non sprecare l’inchiostro necessario a scrivere la legge? Sarà poi un risparmio d’inchiostro tutto italiano, visto che gli altri paesi europei non pare si siano rovinati a scrivere queste due righe, mantenendole aggiornate di anno in anno.

Non mi soffermo su altri argomenti che hanno persino superato i confini della stravaganza, ad esempio chi ha sostenuto che il salario minimo sia assistenzialismo, piuttosto che ad altri che lo ritengono un danno perché abbasserebbe gli stipendi di chi prende di più. Pazzesco!

Tali dialettiche “oscene”, che non si limitano a maltrattare la più elementare logica aristotelica, ma la radono letteralmente al suolo unitamente all’etica, stanno reinventando la portata delle supercazzole. Di talché, anche il conte Mascetti è costretto ad abdicare a questi nuovi e singolari signori del non ragionamento.

«Cui prodest scelus, is fecit». Chiedete dunque a chi vuole uccidere la dignità delle persone sottopagate, in che modo tale crimine possa portare giovamento.

Base foto: Roegger da Pixabay

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P. Giovanni Vullo

In questa navicella spaziale, vado in giro a fare scoperte. Provo a capire come funziona. E ve lo racconto.