La scrittura ci salverà

La scrittura ci salverà

Come quasi tutte le mattine sono uscito presto per fare la mia solita passeggiata di 5 km. Camminare fa bene al fisico e alla mente; un vero toccasana energetico in questo periodo di minor tempo dedicato ai consueti allenamenti.

Incontro sempre persone con cui talvolta si scambiano le solite due frasi di circostanza. Più raramente capita di incontrare amici con i quali intrattenere quelli che io chiamo “discorsi belli”, senza voler usurpare il conio socratico della frase. Oggi è successo, per esempio.

Quell’ora di passeggiata sono diventate quasi due ore. Accanto a me avevo due persone intelligenti: una la conosco meno, ma dell’altra sono più che certo. L’intelligenza di questa persona è dovuta anche alla sua delicata e importante professione, che gli impone profondità di ragionamento, razionalità, pensiero falsificante; quest’ultimo è quel genere di approccio analitico che porta il ragionatore a mettersi nei panni degli altri e provare a falsificare il proprio convincimento. Avrà così modo di trovare gli eventuali punti deboli nei propri argomenti, e rafforzarli se necessario.

A un certo punto ci siamo ritrovati a parlare di politica. Prima della nostra città, ed eravamo abbastanza d’accordo; poi spingendoci alle questioni nazionali. E qui abbiamo sperimentato diversi cortocircuiti. La diversità di vedute era già nota a entrambi, perché avevamo cercato convergenze in diverse altre occasioni ma senza successo, quantomeno nel congedarci con delle nuove idee su cui riflettere dopo.

Perché accade sempre così? Me lo sono chiesto tutte le volte concludendo sempre alla stessa maniera: si rifiuta il confronto onesto!

Me ne sono talmente convinto che oggi ero preparatissimo. Ho sfoggiato tutta la tolleranza e pacatezza di cui sono capace, provando a sollecitare un confronto senza pregiudizi, che avesse voglia di un lento “filosofare” accertando le affermazioni con fatti e documenti, e rinviando ogni conclusione a tali verifiche per valutare le rispettive tesi e trovare, possibilmente, punti deboli nel proprio convincimento. Ma niente da fare! La difesa, dall’altra parte, è stata estenuante e ancorata alle solite escamotage elusive, che fanno parte di quella retorica poco onesta messa in campo ossessivamente per confondere e sviare il ragionamento, spostandosi a piè sospinto su terreni sempre diversi o trasversali, e dunque sfuggendo come matti dal focalizzarsi su una singola questione per volta.

Così è impossibile condurre un ragionamento. Glielo dico sorridendo, al mio amico, ma spesso anche minacciandolo con un calcio ruotato alla Chuck Norris. Ma nessuna arte marziale è capace di perforare quella condotta.

Per lo più sono tecniche disoneste e consapevoli di esserlo (malafede), ma possono essere anche una difesa psicologica. Siccome conosco bene il mio amico sono abbastanza certo che sia una reazione istintiva e psicologica per evitare di ammettere un eventuale superficialità di pensiero, altrimenti quel calcio ruotato non potrebbe più essere un opzione. Una persona dalla mente così aperta - soprattutto per professione - enuncia convinzioni di cui a volte egli stesso può dubitare, intercettando così il rischio di non poter validamente difendere tali convinzioni. Le intuisce astrattamente come giuste, ma senza volersi porre il problema di verificarle e convalidarle in maniera razionale, oppure invalidarle.

Magari dico questo solo perché gli voglio bene. Chi lo sa.

Ad ogni modo questo difetto d’orgoglio esiste sul serio ed è natura delle persone che si ritengono particolarmente dotate intellettualmente, ma che fanno di tale dote una condizione di elevazione sociale, piuttosto che uno strumento di bene collettivo indispensabile e “cartesiano” (del padre del dubbio). Strumento che va continuamente “oliato”, calibrato e messo in discussione, per fornire un contributo davvero utile e puntuale, e non per farlo arrugginire su posizioni non convalidate razionalmente.

Esistono anche altre ragioni, come per esempio mi è capitato di osservare con persone di intelligenza altrettanto vivace su argomenti come la recente pandemia (ora depotenziata, ma ancora in corso). Qui il timore della malattia o dei rimedi può facilmente mandare in tilt la propria capacità di razionalizzare e valutare correttamente il rischio.

Ecco perché giungiamo a quel rifiuto del confronto onesto che ritengo allo stato l’ipotesi più verosimile.

Un rifiuto al dialogo verbale, e non del genere tra persone disinformate e superficiali, ma paradossalmente tra persone con una fervida e quotidiana attività di pensiero. E’ molto grave! Perché se anche le persone ragionevoli - e ragionevoli almeno sulla carta - si irrigidiscono su posizioni non verificate ed eludono il dialogo, non può che definirsi gravissimo.

Questa seccatura interessa il confronto verbale che è proprio alla base del dibattito per eccellenza, attraverso il quale si decidono azioni, politiche e destini. Basti pensare a come funziona il parlamento o all’importanza dell’oralità riservata al processo penale. L’oratoria sarebbe sacra e determinante. Ed è proprio ciò che sta fallendo nella nostra epoca, forse più di ogni altro periodo storico che si possa valutare sotto questo profilo: un problema sempre avvertito, ma mai come adesso parlare e confrontarsi pare così noioso, superfluo, conflittuale, canzonatorio e perfino violento.

Se dunque anche il confronto verbale è andato a farsi benedire, allora non resta che rifugiarsi nel confronto scritto. Si può anche scappare o temere il dialogo verbale, ma non c’è davvero nulla da temere nel leggere un pensiero altrui e provare qualunque sensazione piaccia. Ancor meglio, leggere, rileggere, riflettere e controbattere, con quella tranquilla e distensiva condizione che ci concede la penna e il tempo. Sarà proprio il tempo la maggior perdita, insieme agli accenti e all’insostituibile linguaggio corporeo, ma guadagnando però in precisione, completezza, affinamento granulare dei concetti, persistenza dell’inchiostro che non perde forza come il suono delle parole, ed è immune da memorie vacillanti.

Verba volant, scripta manent! Dicevano i latini.

Purché, però, non siano scritti da lasciare impolverare immobili sullo scaffale, oppure all’interno del nostro cyberspazio fatto di social, blog, siti web e realtà virtuali. Che vi sia, almeno in questo senso, la voglia di cercare, leggere, capire un pensiero e farne tesoro, opponendosi a esso se necessario con altrettanta precisione di scrittura. Si potrà collegare un pensiero a un altro in maniera da riuscire a tessere la preziosa tela di una qualunque possibile verità.

Perché no? D’altronde si è fatto così per secoli. Solo che ci pensiamo noi, con la nostra intelligenza e inclinazione, a scegliere i nodi da mettere insieme. E raramente li abbiamo criticati. Dobbiamo semplicemente iniziare a criticare, criticarsi tra persone che pensano in dialoghi (scritti) onesti e intelligenti, e qui sul blog trovate tante altre riflessioni su questo tema (usate la ricerca di "dialoghi onesti" o "onestà intellettuale", molti articoli verranno presto aggiunti all'archivio). Leggere, capire e criticare, potrebbe essere la nostra salvezza e il punto di partenza per ricostruire anche l’insostituibile confronto verbale.

Pur ribadendo l’importanza della verbalità, non vi nascondo che io abbia comunque sempre prediletto il dialogo tramite scrittura. La scrittura, come la lettura, gode di quella ponderazione che ricorda tanto il vecchio detto de “la notte porta consiglio”, anticamera della saggezza. Spesso, quando parliamo, non siamo in grado di accedere a questa importante anticamera, che magari ridurrebbe i margini dell’orgoglio aprendo all'introspezione e al desiderio di verità.

E di verità siamo tutti affamati.

Base foto: particolare della “Donna che scrive una lettera”, circolo di Gerard Ter Borch,, (1670 ca., olio su tavola), collezione privata

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P. Giovanni Vullo

In questa navicella spaziale, vado in giro a fare scoperte. Provo a capire come funziona. E ve lo racconto.