Abbiamo il primo governo guidato da una donna. Per quanto m'impegni a mantenere asettiche le mie opinioni politiche, mi sarà davvero difficile nasconderne la distanza siderale dalle ideologie della Meloni e da questo “destra-centro”. Lo dico subito perché sicuramente mi capiterà di inciampare fuori dalle righe in qualche commento futuro. Mi perdonerete. E per questo inizio con l'astenermi dal commentare i ministri in sala comando.
Però, al di la di questo, io desidero molto sinceramente augurare alla Meloni ogni bene: per sé, per l'onorato e oneroso timone che dovrà dirigere, e soprattutto per tutti i cittadini di questo paese, che di bene ne hanno bisogno a vagonate.
«Faccia bene, Presidente Meloni!»
Penso nel frattempo a Cicerone, perché forse è il personaggio storico più illustre e accostabile a questo nuovo governo. E' stato un eccellente esponente della “res publica”, da cui discende il termine Repubblica, cioè “cosa pubblica”. Il suo trattato solenne “De re publica” dovrebbero leggerlo tutti, come avrà certamente fatto la Meloni. Ed è importante continuare a leggerlo di tanto in tanto.
E' importante perché illumina e aiuta sicuramente a superare i momenti difficili, per chi la pensa in un certo modo. Cicerone lo scrisse proprio in un momento di grave crisi della Roma repubblicana; grosso modo la nostra crisi. E mi riferisco a quella crisi atavica nella sempre più pericolosa assenza di “virtù politica”; quella che non permette più di chiamare i politici “statisti” e che è governata da ambizione e corruzione.
In tempi del genere, Cicerone riteneva che fosse necessario polso fermo e autorevolezza: il “magister populi”, lo chiamava. Ma non si doveva scambiare l'autorevolezza per autorità, come quella di Cesare che in quel momento veniva contestato da Cicerone proprio per il suo potere autoritario e assoluto. Una guida forte insomma, che non si piegasse ai giochi di palazzo e anteponesse l'interesse della “res publica” rispetto a qualunque altro, aborrendo e neutralizzando quegli stati di deriva del potere per fini personalistici o ideologici.
La sapeva lunga, Cicerone.
Talmente lunga che riprese un concetto fulminante di Platone e lo fece proprio: «Felice la nazione i cui filosofi sono re e i cui re sono filosofi». In realtà si ispirò molto a Platone - che qualche secolo prima immaginò e scrisse “La Republica” - ma in quella frase volle sottolineare la fonte di saggezza e autorevolezza di chi sta al potere, contemperando la filosofia del contemplare con l'esigenza pratica del governare.
Poi si raccomandava: «L'onestà è la migliore regola di condotta». E metteva in guardia dal promulgare leggi che favorissero solo gli interessi di pochi o i privilegi di casta. Un politico onesto non ha nulla da temere, e non deve quindi invocare misure come “l'immunità parlamentare” per tenersi indenne dall'indagine e punizione di ogni sua possibile azione disonesta, per tradurre ai giorni nostri.
La Meloni, così come il neoministro Nordio, saranno indubbiamente d'accordo. No?
Quando Cicerone parla di massima onestà e giustizia è davvero insospettabile. Tali concetti non possono essere confusi con ideologie di sinistra estrema, come il comunismo. Egli infatti difendeva la proprietà privata e condannava il comunismo, cose che non piacerebbero di certo a Marx o Rousseau, che su questi aspetti hanno offerto riflessioni molto più complesse e complete rispetto a Cicerone.
Sant'Agostino, nel “De Civitate Dei”, interpretò alcuni concetti po' stridenti di Cicerone rilevando che l'essenza del suo pensiero sulla giustizia fosse infine quella di ritenere «ingiusto che uomini siano soggetti ad altri uomini che li dominano». Una giustizia di uguaglianza, equa, già comunque chiara anche senza tutti quei pezzi del trattato di Cicerone che purtroppo sono andati perduti.
Bisogna riconoscere anche lo sforzo immane che fece Cicerone nel cercare di promuovere il suo pensiero politico nel contesto dell'epoca: tanto ampolloso quanto votato al censo e ai gruppi di potere. Politici e pensatori, in altri tempi e contesti diversi, lo hanno criticato per le sue condotte a volte ondivaghe, ma le idee erano ben chiare, al di la del Cicerone oratore e diplomatico.
Onestà, giustizia, perseguire l'interesse e i bisogni dei cittadini, esecrare le forme di tutela del potere, essere saggi e autorevoli.
Questo, in estrema sintesi, l'autentico pensiero di Cicerone nel vivere la sua crisi dell'epoca e la deriva delle virtù politiche: la nostra stessa crisi. E dunque l'augurio che io rivolgo al nuovo governo, e alla Meloni in particolare, è di fare altrettanto rendendo preziosa questa parte essenziale del pensiero di Cicerone, che non era certo di sinistra, era molto ricco, amava la patria e infine diceva: «Il potere è del popolo, l'autorità del senato» ("De Legibus").
Buon lavoro.
Base foto: Busto di Cicerone, pubblico dominio
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