La legge naturale

La legge naturale

Rieccomi, come sempre. Ringrazio chi si è preoccupato chiedendomi notizie. I miei tempi di pubblicazione si sono allungati a causa di una “crisi di penna”. Quanto durerà non lo so, ma non dipende solo da me: più volte al giorno notizie disturbanti e sconvolgenti si susseguono frenetiche su ogni genere di media, social o convenzionale che sia. L’impulso di parlarvene è potente, ma non posso far diventare questo blog monocorde. Il tema mondiale che tiene banco, lo so, sarebbe fondamentale, importante, e culturalmente indispensabile: la politica!

Purtroppo, da quando chi ha la forza di votare (ormai meno della metà delle persone) ha deciso di virare il proprio consenso inaspettatamente verso la destra populista, chiunque di costoro vada al governo acquisisce subito due evidenti successi: aumentare l’odio tra cittadini che la pensano diversamente e manipolare l’informazione con continue fake news, iperboli e vittimismo.

Non era mai accaduto prima. Ma c’è già un mucchio di gente più brava di me che ne parla, e forse sarei solo tedioso e ripetitivo scrivendone anch’io come ho fatto spesso negli ultimi tempi. Attenderò che l’impulso diventi irrefrenabile, e vinca anche il desiderio di divulgare miriadi di altre riflessioni latenti.

Non mi dilungo oltre.

Tra gli altri argomenti di più ampio respiro qualche giorno fa coglievo un interessante spunto nel corso di un conversazione con un amico. E così ho pensato fosse un buon momento per tornare su una materia che mi sta molto a cuore: la cosiddetta “legge naturale”, tecnicamente indicata come diritto naturale.

Quelli che mi seguono più assiduamente sapranno che io sono un giusnaturalista, cioè una persona né di destra né sinistra che da parecchio peso alla legge insita nella natura umana; una legge che riguarda l’etica universale (priva di morali soggettive) e che non è stata codificata da nessun’altra entità sociale o divina, ma di cui avvertiamo tutti la giustezza senza discussioni, al netto di chi ha problemi pscihici o patologie neurologiche. L’esempio più banale è la repulsione all’uccisione di un altro essere umano. E’ una cosa che ci mette profondamente a disagio, anche quando diventa l’unica maniera per uscire fuori da un situazione di pericolo estremo e difendere la propria stessa vita. In tal caso è l’istinto di conservazione nei due sensi: conservare e proteggere la vita, che sia la propria o quella di un altro essere umano.

Avvertiamo un mucchio di altre sensazioni naturali che ci fanno dire «Questo non è giusto!», e invochiamo un rimedio per riaffermare la giustizia.

La parte che interessa il giusnaturalismo, ossia la legge naturale di cui parliamo, è proprio quella in cui avvertiamo qualcosa come una cosa sbagliata, dicendo appunto: “non è giusto”. La soluzione che invece cerchiamo viene subito dopo questa sensazione/reazione, e non ha più nulla a che vedere con la legge naturale che la provoca. Riguarda il rimedio che inventiamo per elaborare questa nostra legge naturale; un rimedio di opportunità, convenienza, momento storico, comunità vissuta, necessità e quant’altro.

In altre parole, abbiamo riconosciuto un male attraverso il giusnaturalismo - quindi la legge naturale - ma non avendo una soluzione per rimediare a quel male ed evitare che si ripeta dobbiamo necessariamente usare la nostra ragione per dargli un peso e trovare un rimedio. Questa attività andrà a creare il cosiddetto “diritto positivo”, o giuspositivismo, che prende forma nelle leggi civili e penali di una comunità. Alcuni autori e filosofi ritengono che il giuspositivismo sia la nemesi del giusnaturalismo; altri, invece - ed io concordo con questi ultimi - ritengono che i due concetti debbano necessariamente convivere e completarsi a vicenda in un una dicotomia: giusnaturalismo per individuare le condotte sbagliate e giuspositivismo per individuare i rimedi.

Questo ci porta a concludere che il diritto naturale è pressoché immutabile, mentre il diritto positivo è in costante evoluzione. Ed è ovvio: un comportamento disonesto o criminale viene oggi trattato in una certa maniera, ma domani potrebbe essere trattato diversamente, prevenuto, addirittura sconfitto, pur rimanendo immutata la legge che ci ricorda quel comportamento come sbagliato. Quindi non importa che esista o meno, sappiamo che è sbagliato a prescindere.

Viene anche spontaneo chiedersi: «Ma se quello che è giusto o sbagliato è codificato già nel nostro DNA, perché non vi sono codificate anche le soluzioni definitive?».

Non posso fornire una risposta certa a questa domanda, ma solo un'inferenza logica: se si ascoltasse la propria coscienza (natura umana), si eviterebbe di sbagliare e quindi non sarebbe necessario cercare il rimedio all’errore. Sicché non serve avere una codifica di questo genere alla stregua di cosa sia giusto o sbagliato. La principale critica che si può muovere a questa inferenza logica è che comunque la gente sbaglia lo stesso, quindi la legge naturale non è evidentemente ben codificata in tutte le persone. Ed è una critica potenzialmente corretta.

Però dobbiamo anche osservare che la natura umana è influenzata dall’ambiente in cui essa matura (oltreché da patologie mentali). Se un essere umano verrà costantemente sottoposto a pressioni negative di vario genere, è altrettanto logico che sviluppi un orientamento negativo delle sue pulsioni innate, quindi ecco che tendenzialmente sarà portato a dare più importanza alle pulsioni negative (che tutti comunque abbiamo) violando quelle leggi naturali che anche il suo DNA riconosce bene, allorché prevale una componente più forte che è quella dell’istinto di conservare sé stesso a scapito di chiunque altro (una deriva verso l’orizzonte più egoistico di noi stessi).

Ci può stare?

Come che sia, questa e altre numerose ipotesi logiche sono potenzialmente idonee a spiegare la ragione per cui l’essere umano possiede contemporaneamente la legge naturale e la capacità di violarla. Una sorta di “libero arbitrio” - per parafrasare il dogma cattolico - che impone alla fine di usare quella ragione per correggere gli errori e limitarli, se non eliminarli radicalmente.

Ecco perché dobbiamo giocoforza virare verso il diritto positivo. Non servirebbe… ma dobbiamo!

Purtroppo, però, il diritto positivo è tutt’altro che perfetto. Dopo che avremo assistito a un episodio di ingiustizia, il rimedio sociale codificato nella legge si tramuterà più facilmente in una vendetta, piuttosto che in un vero rimedio che possa ridurre il prodursi futuro della stessa ingiustizia da parte di chi l’ha commessa, o da altri.

Per esempio, se una persona uccide noi la incarceriamo. In alcuni paesi civili esiste ancora la pena di morte. Ma questo non è un rimedio/monito per evitare che altre persone commettano omicidi, infatti da secoli si incarcerano o condannano a morte persone ma tutt’oggi la gente uccide. Il problema non è dunque risolto.

Se non è un rimedio, allora cos’è?

Il diritto positivo è solo un modo per trovare una forma di giustizia, che spesso è una mera vendetta e non risolve nulla. Non si traduce nel recupero del soggetto che sbaglia e contribuisce poco, o per nulla, nel debellare il crimine. Ogni comunità ha il suo diritto positivo, che è la forma di “punizione”, più che rimedio, alle violazioni del diritto naturale. Naturalmente assistiamo anche a forme di legge positiva di stampo meramente repressivo, cioè non generata da quell'esigenza di rispondere a un’istanza del diritto naturale ma nata da ragioni di potere, controllo, prevaricazione. E’ il caso delle leggi inique che viceversa fa scattare le nostre istanze di diritto naturale facendoci esclamare «Questa legge non è giusta!».

Il confine tra l’avvertire una reale ingiustizia oppure un'ingiustizia surrogata dall’ambiente, ovvero indotta da un modo di ragionare deviato, sta tutto nell’ambiente sociale vissuto e da quello che ha fatto da culla alla propria maturazione umana, e infine dal proprio livello culturale/intellettivo influenzato - come se non bastasse - dalle pressioni sociali. Un macello!

Tornando ad ogni modo ai rimedi offerti dal diritto positivo per le reali forme di ingiustizia avvertite attraverso la legge naturale, ottenere giustizia diventa semplicemente la soddisfazione di riconoscere una punizione adeguata, come se non si potesse in nessun modo ragionare su un sistema per rimediare o evitare - alla radice - un qualunque crimine. Come se non fosse possibile.

Non è proprio possibile, secondo voi?

Per ora mi vorrei fermare a questo interrogativo. In molti articoli passati ho affrontato argomenti collaterali e da diverse angolazioni e, probabilmente, fornito già una risposta in linea con la copiosa letteratura che abbraccia i due concetti che abbiamo appena introdotto: giusnaturalismo e giuspositivismo. Quindi vi esorto a cercare, approfondire, e come sempre confrontarci per aggiungere sempre più tessere al complicato puzzle dell’umanità.

In futuro ne parleremo ancora, ponendo sempre di più l’accento sulle “pulsioni” innate di noi umani - nel bene e nel male. Per esempio una cosa che non vi ho detto è che alcuni considerano il male una possibile natura, cioè un essere che nasce con un indole maligna e che quindi non potrà fare altro che comportarsi male nella vita, qualunque sia la sua estrazione sociale, educazione ricevuta, ambiente frequentato, etc. Nei miei scritti passati trovate già molte riflessioni anche su questo tema, ma come promesso proverò a scriverne ancora con sempre maggior cura e dettaglio.

Base foto: Ugo Grozio (Hugo de Groot), in un dipinto di Michiel van Mierevelt (1631, olio su tela); a destra John Locke, ritratto da Godfrey Kneller (1697, olio su tela), due padri del giusnaturalismo moderno

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P. Giovanni Vullo

In questa navicella spaziale, vado in giro a fare scoperte. Provo a capire come funziona. E ve lo racconto.