Il costituirsi delle condizioni è l’effetto delle scelte. Possiamo vivere sfumature di buone o cattive condizioni, in sinergia tra le scelte di vita che si compiono personalmente e quelle imposte o influenzate dall’ambiente in cui si vive: famiglia, amici, gruppi e società. Quest’ultima anche come corpus di norme che vanno osservate.
Se queste azioni sinergiche portassero solo a delle buone condizioni di vita, allora avremmo già vinto. Non servirebbero altri ragionamenti.
Ma non è così. Le sinergie tra le nostre scelte e quelle indotte dall’interazione obbligatoria con l’ambiente di cui siamo parte, producono sempre più spesso situazioni aberranti che forzano a vivere nel dominio delle cattive condizioni. Bisogna capire esattamente perché accade, valutando quanto possano influire le scelte sbagliate dell’individuo rispetto a quelle dell’ambiente in cui l’individuo stesso matura e si sviluppa. Solo argomentando questa critica - sincera e senza pregiudizi - è possibile identificare le soluzioni più adeguate. Altrimenti alcuni continueranno a dare la colpa agli individui, quali esclusivi colpevoli delle loro cattive condizioni, mentre altri punteranno il dito sulla politica e sulla società. O entrambe le cose.
Ho pensato di riflettere più a fondo sulla questione, identificandola con il tema delle riforme sociali - quindi politiche - che potrebbero candidarsi a risolvere gli eventuali problemi e conflitti che osserveremo nel corso dei nostri ragionamenti. E questi ultimi faranno perno sui fattori coinvolti nella degenerazione delle condizioni di vita:
- le tre maggiori condotte negative individuali: cattiveria, ignoranza, malvivenza;
- le regole presenti nell’ambiente sociale;
- il limite, come elemento mediatore tra le condotte negative e le regole.
Prima di tutto sarà necessario individuare l’origine di queste situazioni.
La più significativa è la cattiveria. Essa non dev’essere intesa solo come condotta fisica o psicologica verso altri soggetti, ma anche come complesso di comportamenti antisociali, egoistici e comunque contrari alla convivenza civile, al fine di trarne un profitto per sé senza curarsi di eventuali danni, diretti o indiretti, causati ad altri.
Della cattiveria dell’uomo, quale ipotesi di qualità innata, mi sono già occupato in passato. In quei frangenti ho sempre concluso che la specie umana non trae alcun vantaggio dall’essere geneticamente predisposta alla cattiveria, ma vista la sua propensione ad evolvere necessita di trovare soluzioni per cooperare, e quindi la nostra specie si candida a essere fondamentalmente buona, piuttosto che cattiva. E’ più o meno la stessa analisi che si può compiere su qualunque specie animale, che non potendo razionalizzare come l’uomo usa solo l’istinto, il quale non è né buono né cattivo, e serve per soddisfare le sole necessità di sopravvivenza dell’animale, privo del concetto astratto di evoluzione.
Da quest’aspetto socio-antropologico possiamo poi identificare ulteriori aspetti per l’uomo capace, appunto, di razionalizzare (al netto di disordini mentali di qualunque genere). Subentra l’aspetto psicologico della cattiveria, onde individuarne altre possibili sorgenti innate.
Possiamo chiedere ai tre massimi esperti della materia, Freud, Jung e Adler.
Nella psicoanalisi, Freud ci dice che le influenze infantili, quali esperienze e educazione ricevuta, possono determinare lo sviluppo della cattiveria. Essa andrà a contrastare il Super-Io (valori e norme morali acquisite), fornendogli informazioni che disinibiscono la condotta antisociale della cattiveria e soddisfano immediatamente i bisogni dell’Es (la parte istintiva umana). A tal punto l’Io, parte cosciente, non è più chiamato a mediare tra il Super-Io e l’Es, visto che il Super-Io è privo di valori morali e del tutto disinibito, pertanto non entrerà mai in conflitto con l’Io permettendo all’individuo di esprimersi liberamente in condotte immorali più o meno gravi.
Similmente, la psicologia analitica di Jung indica come responsabile della cattiveria la cosiddetta “ombra”, che sarebbe il complesso di tutte le cattiverie subite direttamente o indirettamente dall’individuo. Se le circostanze che vanno ad ingrassare tale ombra non vengono elaborate e accettate dall’individuo stesso, integrandole semplicemente come esperienze, possono essere proiettate sui propri simili con forza devastante uguale o maggiore alle stesse cattiverie subite.
Adler, nella sua psicologia individuale, identifica la cattiveria come risultato delle esperienze di vita e delle scelte individuali, entrambe influenzate dall’ambiente in cui cresce, nel tentativo dell’individuo di superare il complesso d’inferiorità innato. Quindi lo stile di vita. Se questo lavoro è supportato da una ambiente/società sani, allora l’individuo supererà il suo complesso d’inferiorità innato contribuendo al benessere della società stessa, altrimenti può diventare cattivo e causare problemi.
I tre padri dell’analisi concordano quindi sull’origine comune della cattiveria, come qualità non genetica ma dipendente principalmente dalle condizioni ambientali in cui l’individuo cresce e si sviluppa.
Le altre condotte da considerare nel contesto individuale erano l’ignoranza e la malvivenza.
Sull'ignoranza non è certamente necessaria alcuna indagine sull'eventualità che essa possa avere un’origine innata. È ovvio che la sua origine dipenda esclusivamente dalle condizioni ambientali che abbiano, o meno, garantito un adeguato accesso all'istruzione per sviluppare capacità e cultura adeguate alla completa integrazione sociale dell’individuo. Si tenga anche presente che il termine ignoranza è negativo solo in senso relativo, limitatamente alla sfera della cultura di base. L’ignoranza positiva è naturalmente uno stato normale di tutti noi in infinite aree di cultura specializzante.
La malvivenza, in ultima istanza, dobbiamo inquadrarla in un contesto ampio e non limitato al significato letterale che condurrebbe alla sola componente delinquenziale. Con il termine indichiamo invece ogni condotta contraria alla legge o alla morale, finendo ai più “blandi” stati di indolenza e pigrizia. Tutte condizioni che possono compromettere il contributo che l’individuo dovrebbe o potrebbe fornire alla società. La malvivenza è soggetta al medesimo ragionamento antropologico e psicologico effettuato sulla cattiveria, in relazione all'origine ambientale e non innata.
Cattiveria, ignoranza e malvivenza, fanno dunque i conti con le regole presenti nell’ambiente sociale in cui si vive, governato dal dibattito politico e dai poteri in carica che determinano, modificano e sorvegliano le regole stesse. L’ambiente sociale è perciò completamente assuefatto alle regole - e non potrebbe essere diversamente - costituendo quel legame indissolubile e di massima influenza con i comportamenti cattivi, ignoranti e malviventi, eventuali, di ciascun individuo.
Questa è la prima conclusione logica che dobbiamo tenere bene a mente.
Abbiamo anche detto che la mediazione tra le regole e le condotte negative dell’individuo è rappresentata dal limite. Questo significa che se l’ambiente, governato dalle regole, influenza l’insorgere di quelle condotte negative (poiché non innate), allora il limite può essere rappresentato da regole non presenti, che dunque non governano aspetti importanti della vita sociale, ovvero da regole che si pongono come ostacoli al pieno svolgimento della vita sociale stessa.
In entrambi i casi possiamo parlare di “superamento del limite” che può determinare l’insorgenza di quelle condotte negative, e dunque rendere necessaria una riforma in termini di nuova regola o modifica di quella esistente.
Svilupperemo queste riflessioni con cadenza periodica e senza rigide successioni. Diamoci sempre tempo per elaborare, criticare e metabolizzare bene i concetti che si provano a esprimere.
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Base foto: DALL-E (IA), su input “Riforme e società stile Banksy”, 24/04/2023
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